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Giovedì 4 settembre 2025 - Numero 390
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Grembiule rosso e cappellino nero con visiera, maniche ben tirate su per lavorare più agevolmente, passo rapido a dispetto degli 80 anni ormai alle porte. “Ma è il naso che mi permette di riconoscere quando la trippa è cotta”.
Nicola – per tutti Mario – Tiscornia è l’anima dell’Antica Tripperia che fa angolo in via Rivarola 46, a Chiavari. Impossibile non notarla, con quei pezzi di carne appesi in vetrina che sembrano panni stesi ad aspettare il calore del sole. Undici euro al chilo, prezzo invariato da tempo.
Dietro al bancone in marmo c’è la moglie, Tina, che trita, pesa e incarta. Ha appena finito di preparare una scodella piena di fagiolane, il perfetto abbinamento della tradizione ligure. Che Mario conosce da quando ha 13 anni, garzone in questa bottega di proprietà dei Cavagnaro nel centro storico dal 1949. “Giornate faticose, non ci si fermava un attimo – ricorda – se mi sedevo un attimo, venivo subito richiamato”.

Nel mezzo il lavoro alla Lames senza però dimenticare quegli inizi tra caldaie e mattatoio. E così negli anni Novanta, quando capita l’opportunità, eccolo al timone della tripperia fino ad oggi. D’altronde certi amori non si scordano facilmente. E pazienza se le giornate sono lunghe, specie quando gli anni avanzano e il tuo mestiere ti obbliga a rimanere in piedi per ore: “Ogni mattina mi alzo felice, perché faccio ciò che amo”. La sveglia del trippaio suona presto, poco dopo le 4. Un’ora più tardi le luci della bottega si accendono in una Chiavari silenziosa che Mario conosce come le sue tasche. Nei due pentoloni la trippa cuoce, poi viene sgrassata e lasciata a decantare in due vasche prima di essere venduta. “È speciale perché naturale, senza additivi o altre porcherie”, assicura.
Castagnetta, lampredotto, gola, centopelle: sono diverse le parti che compongono il mix perfetto per una trippa da leccarsi i baffi. “Non solo chiavaresi, abbiamo clienti che vengono apposta dalle città vicine, Rapallo, Recco, Sestri Levante: per noi è un motivo di orgoglio perché vuol dire che vendiamo un prodotto di qualità”.

La ricetta più antica è ‘alla sbira’, nome che – raccontano gli storici – deriva dal fatto che questo piatto era la colazione dei secondini delle vecchie carceri di palazzo Ducale, a Genova. E lui, Mario, quante volte la mangia? “Due volte al mese, dipende da mia moglie: sa come sono le donne, bisogna chiedere spesso per essere ascoltati”, scherza guardando la sua Tina.
È una questione di famiglia questa tripperia perché anche la figlia Cristina dà spesso una mano dietro al bancone e i nipoti sembrano apprezzare questo luogo della memoria, in cui il tempo si è fermato e tiene lontano il tourbillon di aperture e chiusure del centro storico chiavarese. “Ludovica mangia il centopelle, Leonardo ama il riccio. Spesso vengono anche loro qui in bottega”.
Gli occhi dei nonni si illuminano e la speranza, manco a dirlo, è che la tradizione dei Tiscornia prosegua: “In molti si sono interessati, ma questo non è un mestiere che si impara in un attimo. In tanti hanno bussato alla porta per chiedere di rilevare l’attività. Ma io no, non ce la faccio proprio a cedere così, senza essere certo che ci sia un futuro oltre a noi”.

DANIELE RONCAGLIOLO

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