(r.p.l.) Quella che segue è la tipica riflessione glocal. Ovvero una questione di ordine generale, ma che viene a toccare anche il nostro particolare e le nostre vite.
Il tema sono i gruppi di Facebook, le loro dinamiche interne, il modo in cui vengono gestiti e moderati e le conseguenze che possono comportare su migliaia (se non milioni) di persone le scelte sbagliate – vuoi per impreparazione, vuoi per incompetenza, vuoi palesemente per malafede – da parte degli amministratori.
Può sembrare uno scherzo, un discorso campato per aria, un allarme un po’ ansiogeno e ingiustificato. Ma a nostro avviso non lo è affatto. Come molti nostri lettori sanno (e ne abbiamo, per fortuna, di sempre più affezionati), un anno fa, al momento del nostro debutto nel panorama del web, abbiamo indicato una scelta ben precisa: quella di non voler stare, come parte attiva, sui social network.
Questo significa che ciascuno è liberissimo di linkare le nostre notizie e i nostri articoli dove meglio crede, ma noi, per parte nostra, abbiamo optato per non farlo in maniera diretta. ‘Piazza Levante’ non ha una pagina Facebook, né un canale Twitter, né un profilo Instagram, a differenza in pratica di tutti gli altri media, anche quelli che più e meglio di noi incarnano lo slow journalism.
Ci hanno chiesto, un mese dietro l’altro, se fossimo matti a rinunciare a un pubblico del genere, a privarci di tale numerosa platea come quella dei social network, ad andare così tanto in controtendenza.
Avremmo potuto, come molti, guardare ai soli numeri, ai soli dati di Analytics, sacrificando un’informazione seria, documentata e per questo indipendente. Finendo nella piazza, quella virtuale, delle notizie vere e delle molte fake news, non avremmo però assolto al nostro ruolo. Che era e rimane quello di volerci distinguere, nell’era delle notizie instant e dell’informazione omologata.
Lo faremo con impegno, sinché il nostro editore vorrà continuare a sostenerci.
Intanto, più passa il tempo, e più ci rendiamo conto della bontà della nostra scelta. A star fuori dai social network crediamo di essere nel giusto. Ecco perché non possiamo non stigmatizzare la gestione di alcuni gruppi Facebook, in particolare di quel Mugugni del Comune di Chiavari che, al momento in cui scriviamo questo articolo, conta la bellezza di 8809 membri e rappresenta – nel bene o nel male – uno dei più importanti e diffusi strumenti di comunicazione e di propaganda della città.
Si dice che i social network siano lo strumento di espressione più democratico che ci sia. Un mare magnum dove non esiste alcuna regola deontologica, l’educazione è ai minimi termini e l’etica è questa sconosciuta. Quanto più i gruppi sono ampi, tanto più il compito dei cosiddetti ‘moderatori’ è complesso: perché devono approvare o respingere i post, visionare ed eventualmente filtrare o eliminare i vari i commenti, bloccare gli intemperanti, segnalare a Facebook chi istiga all’odio e alla violenza.
La domanda è: chi lo fa per puro spirito di volontariato ma certo ben felice di stare al centro della scena (difficilmente lo sarebbe nella società reale), ha in suo possesso tutti gli strumenti giuridici, morali, culturali e di convenienza per poter svolgere tale compito?
Sembra un gioco, ma in realtà, per chi usa Facebook come unico strumento per informarsi (e questo dato è, purtroppo, sempre più in aumento), quando si finisce dentro un gruppo o se ne richiede l’iscrizione, si pone di fatto la propria libertà d’espressione e di pensiero nelle mani di un altro. Uno o una che spesso non conosciamo, e non sappiamo se sia in buonafede o meno. Se sia competente o meno. Se sia preparato o meno.
Il concetto di ‘media’, ovvero d’informazione ‘mediata’, che i social network tanto si vantano di aver abbattuto, ecco che ritorna nella sua versione più inquietante: perché a fare da filtro non sono professionisti dell’informazione, bensì persone che non ne hanno la minima perizia né esperienza.
La gestione dei Mugugni di Chiavari, in questo senso, è il perfetto emblema di finta democrazia. E ha pesantemente condizionato, qualche anno fa, la campagna elettorale cittadina. Come altro giudicare il continuo dilagare di post contro questo o quel candidato, e invece la smaccata benevolenza verso altri? Anche sulla scorta di questa (brutta) esperienza, e non è certamente un caso, a Sestri Levante, durante la campagna elettorale dello scorso anno, il gruppo Mugugni di Sestri Levante è stato chiuso. Proprio perché i suoi amministratori si sono resi conto dell’enorme responsabilità che avevano nelle mani, e di come avrebbero potuto orientare erroneamente l’opinione pubblica.
A Chiavari si sono mai fatte riflessioni di questo tipo? Ci si è mai resi conto delle responsabilità che si hanno? O si continua a giocare facendo finta di niente? Come mai vengono eliminati più post inerenti allo stesso argomento? Non ne gioverebbe forse una discussione più libera e democratica? Come mai certi commenti vengono bollati come politici e altri, molto ben peggiori, vengono fatti passare? Come mai, se il tema sono i mugugni, abbondano i post di complimenti? Come mai si ha sempre l’insopportabile sensazione di una certa accondiscendenza verso chi detiene il potere? Siamo sicuri che l’atteggiamento mentale degli amministratori sia completamente immune, con una tastiera in mano, dalle loro ideologie?
Chi gioca a fare il giudice e il censore in mezzo a migliaia di persone dev’essere perfettamente a conoscenza del gioco che ha a disposizione e delle regole che (im)pone. Altrimenti rischia di farsi molto male e di fare molto male all’intera collettività.
Ci sono interi libri, studi su studi, su come si può manipolare l’opinione pubblica attraverso la gestione di un gruppo Facebook. Ai manovratori consigliamo di leggerseli. E magari, poi, di non metterli mai in pratica e di ricordarsi, sempre e comunque, del significato della parola equilibrio.
Un po’ di sana moderazione salverà tutti. A cominciare… dai moderatori.