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di ALBERTO BRUZZONE
Il papà accademico di ‘Crea Impresa’– l’iniziativa di Wylab per idee imprenditoriali, che in tre anni è passata ad avere il prefisso di Chiavari, quindi Tigullio e adesso Liguria – è un simpatico e acutissimo professore lombardo che insegna al Politecnico di Milano, presso la Scuola di Design, e che ha dedicato tutta la sua carriera professionale alla consulenza d’impresa, al lancio di progetti innovativi, al loro sviluppo, alla crescita e all’evoluzione delle startup.
Sergio Campodall’Orto, milanese classe 1948, in questo terreno è una sorta di ‘guru’, un punto di riferimento, un faro capace d’indicare la strada a chi voglia intraprendere la via del successo, a chi voglia sviluppare un’intuizione e farla diventare un lavoro: ha costituito e avviato il Consorzio Politecnico Innovazione (oggiAlintec), primo esempio italiano di struttura di interfaccia tra il mondo della ricerca (università) e sistema delle imprese; si è specializzato nell’individuazione di giovani imprese startup e nel supporto alla loro crescita; ha realizzato il primo Incubatore di impresa accademico (Acceleratore di imprese del Politecnico di Milano), ha contribuito all’avvio di Incipit (incubatore dell’Università Federico II di Napoli) e ha coordinato la Rete degli incubatori del Comune di Milano.
In Liguria, il professore è una presenza fissa, costante, attiva e fattiva praticamente da sempre, nell’ambito di ‘Crea Impresa’, il contest ideato nel 2017 da Wylab e organizzato insieme all’Associazione Tigullio Crea Impresa, quest’anno con il patrocinio della Regione Liguria, del Comune di Chiavari e con confini allargati e numeri sempre più grandi: quattro Università coinvolte (Genova, Savona, Imperia e La Spezia), l’Istituto Italiano di Tecnologia, Confindustria, il Talent Garden di Sarzana; imprenditori di livello internazionale come Antonio Gozzi, Edoardo Garrone, Stefano Messina e Giovanni Mondini; prestigiosi partner e aziende che hanno sposato chi l’intera iniziativa (Crédit Agricole), chi il rispettivo settore: Blue Economy (Rina), Food & Tourism (Conad), Ambiente (Iren).
Il contest, riservato a idee imprenditoriali e innovative, è aperto sino al prossimo 20 marzo. Ci si può iscrivere, a titolo completamente gratuito, sul portale web apposito: www.liguriacreaimpresa.it. Il 22 marzo, attesa la proclamazione dei selezionati per i due Design Thinking Weekend. In commissione, naturalmente, il professor Campodall’Orto e altri esperti.
Professore, siamo giunti alla terza edizione. Il contest si è sempre allargato. Buon segno?
“Direi di sì, certamente è un buon segno. La Liguria ha sempre risposto molto bene, è un terreno assai fertile per le idee imprenditoriali. Per questo, tre anni fa, ho iniziato volentieri il percorso di ‘Crea Impresa’, un modello di contest che, per la prima volta, portai a Piacenza nel 2004 ma che è sempre stimolante e foriero di bellissimi progetti”.
Cento domande nel 2017, centoventi nel 2018. E adesso?
“Speriamo di andare anche oltre. Il senso dell’allargamento era proprio questo. Nelle prime due edizioni, sono arrivati bei progetti legati a Chiavari e al Tigullio. Ora abbiamo pensato di stimolare tutta la regione. Sono convinto che arriveranno proposte interessanti, anche in campi che sinora non sono stati mai affrontati, perché si è sempre rimasti legati a un territorio specifico. Sono molto fiducioso”.
Spesso non basta avere una buona idea. È vero?
“Assolutamente no. Non basta. Accanto all’idea, possibilmente originale, bisogna avere in mente la sua fattibilità. Bisogna sempre ragionare in termini di risorse che si possono raggiungere. Mi sono capitate, in passato, bellissime idee, ma molto costose. Questo nostro contest non potrà mai occuparsi, per esempio, di tecnologia o di medicina, dove occorrono investimenti di tipo industriale. Però ‘Crea Impresa’ è l’ideale per sviluppare progetti sostenibili, in settori molto in via di sviluppo come quelli di ambiente, food e turismo. Essendo in Liguria, poi, non potevamo esimerci dal considerare l’economia del mare. L’importante è che un’idea possa partire con le disponibilità che ci sono al momento. Poi, può sempre assumere dimensioni maggiori. Quando è buona, direi che questo avviene abbastanza naturalmente. Il lato positivo di ‘Liguria Crea Impresa’ è l’aver trovato uno sponsor in ciascuna categoria. Si tratta di aziende già importanti che possono adottare il progetto, farlo loro, farlo crescere in casa loro. È una bellissima occasione. Sono partner assolutamente attivi”.
Nel mondo delle startup lei è un indiscusso punto di riferimento. Quante idee seleziona all’anno?
“Direi che ogni anno visualizzo tra gli ottanta e i cento progetti. Molti vanno avanti per due mesi, altri superano i due anni, altri restano in piedi oltre i quattro. Alcuni vengono venduti agli americani. Le belle storie non mancano”.
In media, quante startup sopravvivono?
“Su cento progetti, direi che la media è di cinque per ogni anno. Che considero un risultato molto buono. Le vendute agli americani? Sono state due in quattordici anni. Il bello di tutto è lo slancio generale, la spinta imprenditoriale. È questo il tessuto ideale per far nascere qualcosa. Al di là dei numeri conta questo. I giovani hanno voglia di provare. Partono anche con pochi euro, si buttano. Non sono le idee che mancano. Anzi, se andiamo a vedere, ne abbiamo più qui in Italia che negli Stati Uniti”
Che cosa manca allora?
“Mancano talento e capacità imprenditoriali. Manca l’aspetto manageriale, la capacità di fare azienda. Mancano grossi investitori. Mancano consulenti. Manca gente che molli tutto, molli le sue certezze per un’idea, per un sogno, un orizzonte. Ecco, è in questo che poi gli americani ci superano. Negli ultimi anni, però, le cose sono migliorate. Alle startup si inizia a credere molto di più. C’è anche un aspetto legislativo molto favorevole. Il momento è propizio. E vedo, in questo contesto, sempre più donne che puntano a fare impresa, che si lanciano. I casi di successi femminili sono sempre più numerosi”.
Uno dei punti di forza di ‘Liguria Crea Impresa’ è che riunisce il tutoraggio accademico e quello imprenditoriale.
“Due aspetti fondamentali. In Liguria l’aspetto dell’intuizione e quello del suo sbocco lavorativo sono tenuti egualmente in considerazione. Cosa che a Milano avviene meno. Sarà anche per l’età media dei partecipanti al contest, di solito sempre maggiore. In Liguria, spesso i progetti sono portati da persone che già provengono dal mondo del lavoro, che hanno esperienze, che hanno famiglie da mantenere. L’aspetto gestionale è preso molto più in considerazione. Quindi le basi solide, i liguri sono capaci di metterle. Perché, lo ripeto, per avere successo non è sufficiente il visionario puro”.
Si dice spesso che in Italia un’azienda come la Apple, nata in un garage, non avrebbe mai potuto vedere la luce. È vero?
“Noi non le facciamo in garage, però le facciamo. In tanti bei posti come Wylab a Chiavari, come l’incubatore a Milano. Il problema, lo ripeto, è la difficoltà nel reperire investitori. La grande scommessa è unire competenze e risorse. Per fortuna, sono in continuo aumento le piattaforme di crowdfunding: all’insegna dell’unione che fa la forza, qualcosa si muove. Ma, rispetto ad altri paesi, in Italia c’è una mentalità molto più prudente, rispetto alle startup”.
L’impressione che si ha è che Milano sia andata avanti, lasciandosi tutte le altre città indietro.
“È sicuramente così. A Milano c’è un clima incredibilmente frizzante. C’è voglia di fare esperienze nuove, è un fatto assolutamente normale. E i soggetti disposti a investire iniziano ad affacciarsi sempre di più. Sono nati club di mentorship, ci sono basi finanziarie, lo spazio è tanto. Ma io sono sempre stato dell’idea che ogni grande città debba avere un incubatore. Se poi prendiamo Chiavari, che è una media/piccola città, qui la presenza di Wylab rappresenta una vera eccellenza, un qualcosa che andrebbe preso ad esempio, un qualcosa che se la può competere, sotto certi aspetti, anche con Milano”.
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