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Giovedì 4 settembre 2025 - Numero 390

“In tempo de guera… ciù musse che tera” (2): Dibba e Giggino all’attacco della Francia, e pazienza per gli interessi degli italiani

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Dopo sei mesi e più di vacanza da sogno sulle spiagge dell’America Latina, Alessandro Di Battista è tornato in patria ed ha cominciato subito a pontificare e a straparlare. 

Senza vergogna per aver lasciato senza stipendio i dipendenti dell’azienda familiare mentre lui surfava in Nicaragua, Di Battista, ospite di Fazio in tv, ha dichiarato con piglio arrogante da caudillo terzomondista che il franco CFA, la moneta comune agganciata all’euro usata da due gruppi di Stati africani, è uno strumento vessatorio imposto dalla Francia alle sue ex colonie: “Finché non avremo risolto la questione del franco CFA, la gente continuerà a scappare dall’Africa”. 

Purtroppo cose analoghe sono state ripetute immediatamente dopo da Luigi Di Maio, che a differenza del ‘Dibba’ non fa il turista politico ma, ahinoi, è il vicepresidente del Consiglio. 

Le accuse di neocolonialismo da parte del vicepremier hanno naturalmente provocato le reazioni francesi, che con la convocazione del nostro ambasciatore a Parigi hanno mostrato tutto il loro sconcerto nei confronti della posizione italiana. 

Il premier Conte e il ministro degli Esteri Moavero hanno dovuto, imbarazzati, correre ai ripari, e con la diplomazia cercare di chiudere l’incidente. 

L’incompetenza e le sparate dei 5S sono proverbiali. ‘Dibba’ è un famoso inventore di notizie false riconosciuto a livello internazionale, tanto che nel 2015 la sua bufala su Ebola, Nigeria e Boko Haram finì nell’elenco delle migliori castronerie dell’anno pubblicato dal New York Times. 

Ma in questo caso la sensazione è che si tratti ancora una volta di un’arma di distrazione di massa, di una strategia concordata col vicepremier per fare campagna elettorale e limitare le perdite di voti, strizzando l’occhiolino alla sinistra e all’estrema sinistra, aree politiche sensibili a temi terzomondisti come quello del neocolonialismo. 

Vediamo un po’ più da vicino questa questione del franco CFA. 

Come si è detto il CFA è una moneta che la Francia ha messo a disposizione di 14 nazioni africane emergenti per garantire stabilità finanziaria attraverso il cambio a prezzo fisso, garantito in euro dalla Banca Centrale Francese, e per facilitare di conseguenza gli scambi commerciali all’interno dell’area. Per garantire la stabilità della moneta interna ed il diritto di conversione in euro e per evitare le spese pazze e la conseguente inflazione all’interno dei 14 Paesi, la Francia chiede un deposito del 50% delle riserve valutarie presso la sua Banca Centrale. Macron ha di recente offerto ai 14 Paesi in questione la possibilità di recedere dall’uso del CFA, ma nessuno ne ha fatto richiesta. 

I 14 Stati che usano il CFA non sono Paesi di emigrazione verso l’Italia, tanto che nel 2018 sono stati 2000 in tutto i migranti da questi Paesi. Solo uno di questi, la Costa d’Avorio, figura ottavo nella lista dei primi dieci Paesi da cui provengono i migranti. Non si capisce quindi cosa abbia a che fare il Franco CFA con il fenomeno migratorio. L’affermazione che finché ci sarà il CFA la gente continuerà a scappare dall’Africa è completamente falsa. 

E allora? 

Come tutti i movimenti populisti, specie quando una campagna elettorale si avvicina e ci sono difficoltà economiche interne, anche il Movimento 5 Stelle indica complotti ovunque e sceglie la strategia di individuare un nemico, meglio se esterno, su cui orientare lo scontento. 

In questo caso tocca alla Francia e al suo presidente Macron. 

Dopo aver solidarizzato con i gilet gialli (solidarietà più o meno cortesemente rifiutata dai protagonisti del movimento e respinta al mittente) ora Di Maio attacca la Francia accusandola di neocolonialismo. 

La cosa veramente grave è che così, per motivi di interesse privato (il risultato dei 5S alle prossime elezioni) si rischia di danneggiare fortemente l’interesse pubblico dell’Italia. 

Ci sono infatti in questo momento varie partite aperte con la Francia che rischiano di venire gravemente danneggiate dall’irresponsabile propaganda elettorale di Di Maio. 

La prima vittima del nuovo scontro aperto dal governo italiano con la Francia potrebbe essere Alitalia. Fino a qualche giorno fa i negoziati per portare Air France dentro il salvataggio della nostra compagnia di bandiera sembravano aver imboccato una buona strada. 

Anche la vicenda Fincantieri potrebbe risentire della gelata nei rapporti tra i due Paesi. 

Le imprese industriali del Nord Ovest, poi, sono terrorizzate. La Francia è infatti il loro secondo partner commerciale dopo la Germania (per il Piemonte il primo). 

Inoltre la presenza bancaria francese nel nostro Paese è molto importante, e con Crédit Agricole e BNP-Paribas BNL sta svolgendo una positiva funzione di supporto al sistema delle piccole e medie imprese italiane. 

Infine, la Francia è fra i primi Paesi impegnati in Italia, dove controlla 1900 imprese in cui lavorano 250mila dipendenti, mentre il nostro Paese ha circa 2000 imprese Oltralpe con oltre 100mila dipendenti. 

Numeri importanti, che dovrebbero indurre a prudenza il vicepremier e ministro dello sviluppo economico, ed impedirgli di dire castronerie a ruota libera a soli fini elettorali e contro l’interesse nazionale.  

L’altro vicepremier Salvini, che dovrebbe essere più sensibile alle preoccupazioni dei ceti produttivi del Nord, invece di richiamare l’alleato alla ragionevolezza e alla realtà, le spara grosse contro Macron anche lui, complicando ancor più la situazione. 

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