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Giovedì 4 settembre 2025 - Numero 390

Trump sta davvero male? Storia di un complotto rovesciato

Per anni i repubblicani hanno esagerato le voci che circolavano su Joe Biden. Oggi tocca al loro leader
Le teorie sullo stato di salute di Donald Trump si susseguono
Le teorie sullo stato di salute di Donald Trump si susseguono
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Prosegue il nostro rapporto di collaborazione con la piattaforma ‘Jefferson – Lettere sull’America’, fondata e guidata dal giornalista Matteo Muzio. Il portale di ‘Jefferson’, con tutti i suoi articoli e le varie sezioni, è visitabile all’indirizzo https://www.letteretj.it, da dove ci si può anche iscrivere alla newsletter.

di MATTEO MUZIO *

La salute di Joe Biden per anni è stata quasi un genere giornalistico a parte. Negli anni in cui era al vertice della Casa Bianca, i commentatori si dividevano in due fazioni: chi sosteneva che il presidente non era in condizione e che aveva una forma già avanzata di demenza senile. Da parte progressista invece si diceva che il presidente usasse la sua apparenza senile come un arma politica per sorprendere poi con il suo acume e il suo benessere fisico “eccellente”.

La verità, si è poi scoperto in seguito, è che, anche se Joe Biden aveva una discreta forma fisica per avere sorpassato gli ottant’anni, lo stesso non si poteva dire per le sue capacità cognitive. Questo dato di fatto è emerso improvvisamente durante il dibattito avvenuto con l’allora candidato repubblicano Donald Trump il 27 giugno 2024, dove l’allora presidente è sembrato spesso spaesato e senescente. Da allora è passato poco più di un anno e siamo di nuovo al punto di partenza: solo che stavolta è proprio il repubblicano a essere al centro delle chiacchiere, ovviamente dei dem finiti all’opposizione.

Fino a martedì 2, Trump sembrava essere scomparso: solo qualche post sporadico sui social e nessuna apparizione pubblica per sei giorni. Come spesso accade sulle piattaforme social ormai sempre più prive di qualsiasi controllo di fact checking, le teorie cospirative hanno preso il volo: Trump sarebbe morto e si aspetta solo il momento giusto per annunciarlo. Anzi no, Trump ha avuto un ictus, o forse delle ischemie e le sue capacità mentali sono molto diminuite.

In quest’ultimo caso c’è persino un precedente a cui fare riferimento: il 2 ottobre 1919 l’allora presidente Woodrow Wilson venne colpito da un ictus che lo lasciò paralizzato al lato sinistro del corpo e gli impedì di parlare senza difficoltà per oltre un anno. Con l’aiuto della First Lady e del medico della Casa Bianca Cary Grayson, l’evento venne nascosto per settimane, proprio mentre al Senato era in corso il dibattito per l’approvazione del Trattato di Versailles. Senza la guida del presidente, i democratici vennero sconfitti e gli Stati Uniti si chiamarono fuori da un trattato che avevano contribuito a scrivere in modo determinante.

All’epoca però non c’era la televisione e la radio era appena agli albori ed era abbastanza facile. Oggi con un ecosistema mediatico così capillare non sarebbe possibile anche se nemmeno i dati di realtà fermano le ipotesi più strampalate come l’uso dei sosia per coprire le malattie di Trump (e anche di Biden). Certo, per basarci sui dati di fatto, il presidente ha una salute non straordinaria (i report del medico della Casa Bianca su una salute “eccellente” appaiono veritieri come quelli dell’epoca di Wilson), frutto anche di anni di dieta malsana (carne rossa ogni giorno spesso accompagnata da bevande zuccherate) e nessun esercizio fisico oltre il golf, dove però si cammina poco e si usano le macchinette per spostarsi sui campi.

Inoltre, è stato ammesso che il presidente soffre di “insufficienza venosa cronica”, malattia che spiega le caviglie gonfie e le mani spesso ricoperte di lividi coperte da strati grossolani di make-up. Un uomo di 79 anni, dopotutto. Quello che però preoccupa, come all’epoca di Biden, è il livello di segretezza che i rispettivi cerchi magici cercano di tenere, con una pratica sinistra di opacità che ricorda più il Cremlino nei tardi anni ’70 anziché la Casa del popolo americano. Fa sorridere allo stato attuale la preoccupazione quasi eccessiva che riguardava il sessantanovenne Ronald Reagan durante la campagna elettorale del 1980. Forse però è meglio non sfidare più di tanto gli acciacchi dell’età, specie se si deve governare la maggiore superpotenza mondiale.

(* fondatore e direttore della piattaforma ‘Jefferson – Lettere sull’America’)

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