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di MATTEO MUZIO *
L’imprenditore di origine sudafricana Elon Musk ha recentemente annunciato la creazione di un nuovo partito politico, dopo essere caduto in disgrazia presso la Casa Bianca di Donald Trump. Dopo aver rivoluzionato settori come l’automotive, l’energia, le telecomunicazioni e l’esplorazione spaziale, Musk si propone a parole di trasporre il suo spirito visionario in ambito pubblico, cercando di superare, così dice lui, le tradizionali divisioni e i limiti di una politica spesso vista come statica e autoreferenziale. Anche se, a vedere la sua storia recente, ha prima cercato il favore dei dem sotto la presidenza di Barack Obama e poi dei repubblicani di osservanza trumpiana, passando per un breve flirt politico con il candidato-meteora alle presidenziali Ron DeSantis, attuale governatore della Florida.
L’intento dichiarato del nuovo partito di Musk è quello di porre l’innovazione, la libertà individuale, la meritocrazia e la sostenibilità al centro del programma politico. L’obiettivo è attrarre cittadini e cittadine delusi dai vecchi schieramenti e dalle formule ormai logore della politica classica, offrendo una piattaforma trasversale che guardi al futuro e alle soluzioni concrete per le grandi sfide del nostro tempo. Almeno a parole.
Ci sono serie criticità da tenere presenti. Innanzitutto, la personalizzazione del potere. L’enorme carisma e la notorietà di Musk rischiano di spostare eccessivamente l’attenzione sulla figura del leader, mettendo in secondo piano il ruolo delle istituzioni e il principio di collegialità alla base della democrazia rappresentativa. Un partito fortemente legato a una persona può risultare vulnerabile alle oscillazioni del consenso e alle scelte individuali del fondatore. Qualcosa che stiamo già vedendo accadere con lo stesso Trump che però almeno ha alle spalle un partito repubblicano sia pur molto prosciugato nei valori e nella forza della proposta politica.
Poi c’è il populismo tecnologico. L’idea che la tecnologia possa risolvere ogni problema rischia di semplificare eccessivamente questioni che hanno profonde radici sociali ed economiche. Una politica troppo sbilanciata su questo versante rischia di creare nuove forme di esclusione e di accentuare il divario tra chi ha accesso agli strumenti digitali e chi ne è tagliato fuori. Consideriamo anche l’inesperienza politica: come già ha dimostrato nei mesi scorsi, pur vantando indubbie capacità manageriali, Musk e il suo staff potrebbero incontrare difficoltà nell’orientarsi tra le complessità normative, giuridiche e diplomatiche che governano la macchina statale. La gestione di uno Stato implica compromessi, mediazioni e una conoscenza profonda delle dinamiche istituzionali, difficilmente acquisibili dall’esterno in tempi brevi.
C’è da considerare anche il conflitto d’interesse che scaturisce dalla posizione di Musk come CEO di alcune delle maggiori multinazionali del mondo solleva interrogativi sulla reale separazione tra interessi pubblici e privati. Il rischio è che decisioni politiche possano essere influenzate, anche solo indirettamente, dalle necessità delle sue aziende, minando la trasparenza e la fiducia dei cittadini.
Infine, un movimento fortemente identificato con una sola persona e con idee innovative ma divisive potrebbe aumentare la polarizzazione politica, alimentando scontri ideologici e conflitti sociali in uno scenario già esplosivo.
Il nuovo partito di Elon Musk rappresenta in teoria una vera e propria sfida per il sistema politico attuale: se da un lato può portare una ventata di rinnovamento, dall’altro solleva domande cruciali sull’equilibrio tra innovazione e democrazia, tra efficienza e inclusività. Il bilancio di questa esperienza politica dipenderà dalla capacità di Musk e dei suoi collaboratori di costruire una struttura realmente partecipativa, di ascoltare le esigenze della società e di evitare la trappola dell’autoreferenzialità o della semplificazione eccessiva.
Infine, al netto delle considerazioni, quanto può incidere davvero? Molto poco: un pugno di deputati, tra cui il kentuckiano Thomas Massie, caduto in disgrazia con Trump, potrebbero tornare al Congresso sotto la bandiera di Musk. Più probabilmente però, toglierà consensi a un partito repubblicano spossato da due anni di estremismo e continui cambi di idea da parte del presidente e consegneranno una solida maggioranza ai dem in entrambi i rami del Congresso nelle elezioni di metà mandato del novembre 2026. Anche se i tempi della politica americana pongono anche un dubbio sul fatto principale: ci sarà il partito di Musk tra oltre un anno?
(* fondatore e direttore della piattaforma ‘Jefferson – Lettere sull’America’)