di DANILO SANGUINETI
I pontefici non vanno osservati troppo da vicino. È questione di prospettiva storica, prima che di doveroso riguardo nei confronti di una figura di riferimento per oltre un miliardo e mezzo di persone.
Il tempo dirà cosa Papa Francesco ha lasciato e cosa rimarrà del suo insediamento. Oggi, quando ancora è viva l’impressione per la sua scomparsa, si può solo tentare una prima, e per forza di cose sommaria, valutazione. Comunque sin d’ora si avverte come i suoi dodici anni di mandato siano stati intensi, al contempo degni di questi tempi veloci come i bit che corrono nei cavi e allo stesso tempo pregni di idee come un riformatore balzato fuori dai grandi concili, idee destinate a riverberarsi sulla Chiesa del ventunesimo secolo.
Ecco come si può raccogliere qualche pensiero ascoltando il dialogo tra un sacerdote, don Andrea Buffoli, e un laico, un imprenditore, Antonio Gozzi.
Disse: vengo dal sud del mondo. Come a distinguersi se non dall’insieme di valori che definiamo occidentali, permeati della cultura liberale, da un certo “occidentalismo” ideologico. In che misura ritiene che i temi della giustizia sociale e della responsabilità etica, tanto enfatizzati da Papa Francesco, abbiano influenzato il modo in cui le aziende italiane affrontano le sfide economiche attuali?
DON ANDREA
In realtà quella frase lui la espresse in altre parole già in nel primo discorso che fece, prima ancora di essere eletto, in sede delle famose congregazioni dei cardinali, quelle in corso ora, in cui i cardinali liberamente dicono la loro su come vedono la situazione della chiesa in vista della scelta imminente del futuro Papa. L’allora Cardinale Bergoglio disse due cose interessanti. La prima è che era giunta l’ora che la Chiesa andasse a visitare non semplicemente le periferie, ma le periferie esistenziali dell’umano. La seconda cosa importante che disse fu: non è che Gesù viene a bussare alla nostra porta, noi Gesù l’abbiamo dentro, e bussa per uscire. Quindi quando lui parla di “fine del mondo” dice: io ho chiesto che la Chiesa possa andare, e possa rivolgersi, fino alla fine del mondo. Hanno scelto me che vengo dalla fine del mondo. Quindi questo connubio fa sì che camminiamo insieme. Affermazione che venne un po’ male interpretata soprattutto dai media. Arrivo dalla fine del mondo, disse, ma divento Vescovo di Roma. Quindi c’è questo collegamento: il mondo occidentale, con a capo il Papa che presiede la comunione di tutte le chiese, e la dimensione della periferia. Diciamo che Francesco fin dall’inizio ha attirato l’attenzione su alcuni aspetti che poi sono stati esaltati a detrimento di altri, cosa che poi ha un po’ compromesso il messaggio unitario.
GOZZI
Giudicare Il Papa per un laico non è mai cosa semplice, né agevole. Mi limito a trasmettere le mie sensazioni nei confronti di Papa Bergoglio, che ho conosciuto nel 2014 con l’Entella di allora ad un’udienza cui mi accompagnò monsignor Tanasini . Era molto stanco: da due anni stava affrontando i temi, meno religiosi, ma molto stringenti, sulla situazione finanziaria del Vaticano, dalla crisi dello Ior. Si diceva che facesse tre o quattro riunioni alla settimana su questo.
Nei confronti di di Bergoglio io ho un sentimento ambivalente. C’è la fascinazione Argentina, perché per un chiavarese con la nonna nata a Buenos Aires come il sottoscritto già la parlata è affascinante, è per me una cosa che ha una forte valenza sentimentale. Contemporaneamente, è stato un papa che ha mostrato i segni tipici della cultura latinoamericana anche gesuitica. Ha dato segnali importanti di antioccidentalismo. E’ stato un Papa terzomondista, nel senso che ha avuto nei confronti dell’Europa e degli Stati Uniti d’America un atteggiamento molto critico. Io contesto in lui questa sottovalutazione dei valori europei, quando nel mondo di oggi c’è enorme bisogno della civiltà che è frutto di Atene, Gerusalemme e Roma.
Il terzomondismo di Bergoglio non è solo un dato culturale: è anche un portato del prete di strada, del prete delle favelas, di uno che i poveri del mondo li ha conosciuti davvero. E però, dal punto di vista del messaggio di riscatto, a me sembra che da parte sua qualcosa sia mancato.
Come interpreta il ruolo della Chiesa nel dialogo con istituzioni e realtà economiche, in un’epoca in cui le problematiche sociali sembrano sempre più complesse e interconnesse?
GOZZI
Sottolineo come anche in questo Bergoglio sia stato mainstream. Sui temi dell’ambiente, ad esempio, è mancata una vera grande riflessione, mentre ci si è fermati all’ideologismo. Dico questo non perché si debba negare il cambiamento climatico, non perché si debba negare la necessità di combatterlo; ma perché va sottolineata la necessità che siano le imprese, le tecnologie, la scienza che risolvono il problema del cambiamento climatico. Francesco si è accodato alle tematiche della sinistra ambientalista mondiale, che finora non ha ottenuto enormi risultati. Le emissioni di CO2 raddoppiano ogni anno rispetto all’anno precedente proprio perché i paesi del terzo mondo sono i più grandi emettitori di CO2: è questa la contraddizione, per cui i paesi del Terzo mondo sono quelli che, avendo bisogno di crescere, utilizzano tutte le energie possibili, e tra queste utilizzano soprattutto carbone, perché costa poco. Serviva una riflessione più approfondita su questi temi.
DON ANDREA
Ci sono due aspetti da far emergere. In primo luogo quanto lui si sia sentito, fin da subito, un parroco che faceva il Papa, questo background che dice il suo vissuto da sempre nella suo percorso e dal quale non poteva fare a meno di partire come pontefice della chiesa. È stato un uomo che non ha avuto paura di vivere tutti gli aspetti della vita, delle persone e della fede, e quindi di buttarsi a capofitto nella vita delle persone della fede, bypassando altri aspetti che papi precedenti invece tenevano in grande considerazione.
Lo hanno attaccato dicendo che era poco attento ai sacerdoti e ai vescovi nel Vicariato di Roma. Ricordo l’attenzione grande da lui avuta a far si che il collegio cardinalizio fosse sempre rappresentativo di tutto il mondo, a discapito a volte di alcune zone importanti. Milano, ad esempio, al momento non ha un cardinale. Io sono d’accordo che tutte le nazioni devono essere rappresentate nel Collegio, e che questo si possa anche ampliare rispetto alle norme attuali, ma che debba esprimere una collegialità ampia e capillare che a volte è mancata.
Riguardo invece la sfida ambientale e altre sfide, ci sono tante persone che dicono: “Papa Francesco è stato bravo a immaginare un modello di chiesa e un modello di società, ma molto meno bravo a costruirlo”. Questo è l’aspetto interessante che fa riflettere.
Un Papa contro la guerra, contro ogni tipo di guerra.
GOZZI
Sul discorso delle relazioni internazionali ho colto due grossi nodi: in rapporto alla guerra Russia-Ucraina e all’atteggiamento verso Israele contro Palestina. Lui è partito male e credo che poi abbia corretto il tiro perché c’è forse stato un clero locale che gli ha spiegato che cosa stavano facendo i russi in Ucraina. Anche qui un approccio terzomondista: disse che, in fondo, la NATO abbaiava ai confini della Russia. Cosa che oggettivamente non risponde al vero. E’ vero che si era concordato, alla caduta del Muro, che la NATO non si sarebbe estesa ai paesi dell’Est; però è altrettanto vero che i popoli dei paesi dell’Est, in particolare il popolo polacco che aveva sperimentato il tallone di ferro sovietico, aveva detto chiaro: se voi non ci fate entrare nella NATO, noi vogliamo le testate nucleari per difenderci dai russi. E allora, a fronte di una spinta popolare così forte come la spinta della Finlandia e della Svezia, paesi tradizionalmente neutrali, che dopo l’invasione dell’Ucraina corsero ad aderire alla NATO, come si poteva dire no?
Dopo che nel 2014 c’era stata una violazione clamorosa, con l’invasione di un pezzo di paese che era ucraino, io mi aspettavo che dalla Santa Sede giungesse un richiamo al rispetto del diritto internazionale.
Nella vicenda di Gaza ho meno da osservare. Va certamente detto che anche nell’uso della forza c’è un principio di modulazione. Israele ha superato questa linea. Non si può però parlare di genocidio. Lui l’ha fatto, sbagliando di nuovo. Anche se quello che è successo a Gaza negli ultimi mesi comporta un richiamo alla linea del diritto internazionale, e concordiamo sul fatto che il diritto di difesa è sacro, ma che il diritto di difesa non può andare oltre una linea ben definita. Il Papa avrebbe però potuto dire che i palestinesi sono prigionieri di Hamas, perché è vero che Israele bombarda le scuole e gli ospedali, però è altrettanto vero che Hamas ha trasformato le scuole e gli ospedali in caserme e fortini e depositi di armi.
Ho letto un bel libro di Loris Zanatta, uno dei massimi studiosi dell’America Latina. Zanatta ha scritto una tesi molto importante sul peso dei gesuiti latinoamericani nella formazione delle classi dirigenti del continente , in cui arriva a dire che addirittura l’esperienza castrista o l’esperienza di Chavez in Venezuela sono molto più orientate dal messaggio delle scuole gesuitiche che dal marxismo. Questo Papa era figlio della cultura ricevuta. Storicizzando, dobbiamo andare a vedere dove era nato, figlio di migranti, dove aveva vissuto: in un quartiere degradato della metropoli del suo paese. E cosi si capisce questo concetto di legame col popolo, coi più poveri, coi più derelitti, che ha poi finito col condizionare tutta la sua opera.
DON ANDREA
Vorrei richiamare l’attenzione sulle ultime sue parole nella benedezione Urbi et Orbi pasquale: di nuovo il riferimento al popolo e l’indicazione di figure di riferimento in questo ambito – penso al cardinale a Gerusalemme Pierbattista Pizzaballa, che tra l’altro si dice sia tra i papabili, anche se ancora abbastanza giovane – ha voluto indicare delle figure di riferimento come questa, ed essere vicino ai popoli travolti dalle guerre con i modi che gli erano propri, le sue chiamate, i suoi messaggi, che lui faceva anche usando la rivoluzione mediatica. E’ stato il primo Papa che ha utilizzato i moderni mezzi di comunicazione per poter trasmettere la sua vicinanza. Questa vicinanza semplice, spicciola, certamente è stato un segno che a tanti ha fatto bene.
In tanti si sono domandati: ma per una figura che è comunque un capo di Stato e che ha un peso internazionale questo può bastare? Io son convinto che probabilmente non può bastare, ma era comunque necessario. Bergoglio ha rimesso al centro questa vicinanza alle persone che si era un po’ persa con Papa Ratzinger, tenendo conto che la sua era più una esperienza di curia piuttosto che di pastorale ordinaria, cosa che invece aveva Francesco.
GOZZI
Ecco, per il futuro forse la domanda è: di cosa c’è bisogno per una sintesi tra questo umanesimo cristiano che veniva facile a Francesco e il peso che la Chiesa ha nelle vicende di questo mondo così difficile? Lui aveva la convinzione che la guerra fosse solo figlia del capitalismo occidentale. E questo non è vero, nel senso che senza togliere le responsabilità anche plateali dell’Occidente, chi oggi più minaccia la pace sono le autocrazie, da Putin all’Iran, alle proxy dell’Iran, a Hezbollah, Hamas e Houthi, che non hanno niente a che fare con l’Occidente. Dire, ad esempio, che l’atteggiamento dell’Iran di voler cancellare Israele dalla carta geografica sia figlio di una cultura occidentale mi sembra eccessivo rispetto alla complessità della situazione.
L’umanesimo cristiano e la vicinanza ai più poveri, ai dimenticati, è indispensabile anche all’Occidente, perché se l’Occidente non riesce ad occuparsi degli ultimi, inevitabilmente verrà travolto. Però, come dice Don Buffoli, forse rispetto a questo tema è necessaria una visione, i cristiani la chiamano profezia, ancora più alta rispetto ai momenti dell’oggi.
Non basta dire ‘no alla guerra sempre’. Perché dire no al diritto dei popoli ad autodifendersi? Neanche i padri della Chiesa lo dicono. Neanche il catechismo della Chiesa lo dice. In Ucraina siamo in presenza del diritto di una nazione sovrana a difendersi contro una potenza molto più grande. Ecco, sono d’accordo con quanto dice Don Andrea: probabilmente ci vuole una sintesi tra questa capacità di parlare agli ultimi, che è indispensabile per la Chiesa, perché se la Chiesa non fa questo non esiste; e dall’altra parte la cultura cristiana che è una cultura dell’Occidente. Perché la cultura cristiana non è nata in Asia: è Atene, Gerusalemme, Roma. Una cultura , sia detto senza alterigia, che garantisce il massimo livello di libertà e di benessere . E non può essere dimenticata come se non esistesse.
Anzi di Europa, di cultura europea e di cultura cristiano-giudaico-ellenica c’è una enorme bisogno oggi nel mondo. È il punto, è l’unico punto di riferimento che abbiamo.
Comunque lui ha portato il Vaticano fuori dalle secche di una dimissione, perché non dimentichiamoci che quest’uomo è stato eletto al soglio dopo le dimissioni che non si verificavano dai tempi di Celestino V. Quindi dopo un evento traumatico, un gesto traumatico e criticato, trovò la Chiesa “in gran Procella” Stalin a Yalta sprezzantemente chiese a chi lo invitava a tenere conto del parere del Vaticano “E il Papa quante divisioni (intendeva armate) ha?”. Ecco quante “divisioni” lascia Bergoglio alla Chiesa del 21esimo secolo e per il futuro della Ecclesia?
GOZZI
Anche da questo punto di vista insisto sulla parola terzomondista. Il terzomondismo di Bergoglio ha rinforzato la Chiesa, nel senso che il mondo di oggi, e di domani, è un mondo in cui l’Occidente peserà sempre meno: dal punto di vista demografico, dal punto di vista economico, dal punto di vista sociale, quindi è forse questa è la ragione dell’orientamento di Francesco. Il futuro della Chiesa certamente non è in Europa né negli Stati Uniti, ma nei mondi che crescono e che sono mondi nuovi. E quindi credo che il messaggio globale dell’elezione di Papa Francesco in quell’epoca in cui la globalizzazione era ancora In pieno vigore sia stato un messaggio importante. Sono passati 12 anni, il mondo si trovava in una fase diversa del mondo; un papa terzomondista, in un momento in cui il mondo diventava sempre meno occidentale, è stato un segno di comprensione e di visione ampia.
Il tema, poi, è che c’è comunque una necessità di ordine, una necessità di governo, non soltanto della Chiesa ma del mondo. E la Chiesa deve dire la sua su questo governo del mondo, su questo nuovo ordine da costruire. Io credo che non possa esserci solo un richiamo, per quanto giusto e doveroso , agli ultimi e alla pace. Non basta perché le autocrazie non ascoltano questo messaggio. Perché i nazionalismi non ascoltano questo messaggio. E’ richiesta oggi ai problemi del mondo globale una risposta molto complicata, molto difficile.
DON ANDREA
Papa Francesco ci ha lasciato tre luci importanti. La prima, la sottolineatura della misericordia. Una chiesa che deve non perdere mai la sua sorgente, riconoscere il Signore presente nel mondo e annunciare in modo credibile e gioioso la sua misericordia. Il Papa lo ha sottolineato chiaramente, perché questo deve essere uno specifico nostro, che ci differenzia da tutto il resto del mondo, che può poi declinarsi, di conseguenza, in tanti altri temi, quali quello della pace e dell’attenzione all’umano. C’è stata questa sottolineatura fin dall’inizio del suo pontificato, cioè che la Chiesa o predica la misericordia di Dio o perde un pezzo della sua storia. Una cosa importantissima.
La seconda cosa è il lavorare insieme. E stato un metodo che il Papa ha inserito in un organo che, voglio ricordare, è una monarchia assoluta. Un monarca, passatemi il termine che rischia di risultare desueto, ma comunque abituato a partire dal suo pensiero e poi, a cascata, a parteciparne. Francesco invece voleva lavorare in forma sinodale, quindi pensare e sognare la chiesa di uno sguardo d’insieme che è stato portato avanti in questi anni. È stato all’inizio un lavoro che ha incontrato numerosissime resistenze, ma che ora ha coinvolto un tal numero di laici del mondo, milioni e milioni di persone tanto che ora ritornare indietro su questo sarebbe un boomerang pericoloso. Potrebbe far perdere un grande capitale di fiducia nella Chiesa.
A mo’ di esempio, quelli che nelle nostre zone hanno lavorato sul sinodo giustamente ora lo dicono: abbiamo sognato e costruito tanto in questi anni, ora però vogliamo che questo cammino prosegua, perché sennò sarebbe una delusione. Questo tra i cardinali che stanno per chiudersi in conclave è ben presente.
Nelle interviste di questi giorni leggiamo anche che gli ultraconservatori sono consapevoli che una frizione, una divisione all’interno del Collegio cardinalizio, non porterebbe da nessuna parte, anzi aiuterebbe la disgregazione.
L’ultima luce che il Papa ci consegna, è, lo abbiamo già detto, partire dalle cose più concrete, dalle cose di tutti i giorni. Io ricordo quando per la seconda volta portammo la maglia dell’Entella al Papa Bergoglio, nel settembre del 2019. C’eravamo noi sindaci locali, giornalisti, sacerdoti, sportivi. Dopo aver ricevuto la maglia numero 10 dell’Entella ci disse “Non perdete mai, dello sport, l’amatorialità, perché è a partire da uno sport amatoriale che poi si possono gettare le basi per uno sport più serio.” Questa cosa mi colpì perché lui aveva queste immagini belle che rimanevano e che mostravano proprio come partisse “dal basso”, per desiderare qualcosa di più, lo sguardo del cielo.