di CRISTIANO LUXARDO *
Tra la verità presunta e la terra magica della finzione, è oggi possibile raccontare una storia autentica in cui sono coinvolti i servizi segreti?
È questa la domanda a cui gravita attorno il film Il Nibbio (da oggi nelle sale italiane). Pellicola che arriva a vent’anni da fatti realmente accaduti, con il posarsi di un poco di sana polvere e il diradarsi di nebbie e ricordi.
Il titolo arriva direttamente dal nome in codice di Nicola Calipari, agente dell’allora Sismi (Servizio per le informazioni e la sicurezza militare), morto il 4 marzo 2005 a Bagdad.
Calipari muore mentre è a meno di un chilometro dall’aeroporto in cui si sarebbe conclusa l’operazione di salvataggio di Giuliana Sgrena, giornalista de ‘Il Manifesto’ rapita ventotto giorni prima da formazioni armate filo Saddam.
Siamo in un’Iraq colpito da una guerra ufficialmente terminata ma proseguita strada per strada. La tensione fra i residenti locali e le forze militari straniere è alta. Movimenti armati fedeli al deposto Saddam Hussein controllano porzioni di nazione e delle città. Per gli occidentali i rischi sono reali e frequenti.
In questo quadro avviene la morte di Calipari che resta uno dei fatti più noti della storia recente italiana e che definisce l’immaginario nazionale della Seconda guerra del Golfo.
In questo aspetto il film colpisce, svincolando bene (non benissimo) dagli animi politici e dalla narrazione di un conflitto, per calare lo spettatore nella dimensione umana, fatto dopo fatto, tramite strette soggettive dei protagonisti: Claudio Santamaria è Nicola Calipari, Sonia Bergamasco è Giuliana Sgrena e Anna Ferzetti è Rosa Calipari.
Alla fine è a questo fatto che il film ci riporta, colpendoci perché sa raccontarci un martirio che ha quasi il sapore dell’inevitabile e del banale, ma che in realtà resta profondo come un dolore simile può essere.
Tuttavia il merito principale della pellicola è quello di ricordare un uomo e un servitore dello Stato, partendo dalla voglia di narrare la vita semplice di un marito, di un padre e di un lavoratore.
Santamaria, che ci emoziona fino a qualche lacrima, ci riporta un Calipari appassionato e pieno di senso del dovere e allo stesso tempo un Calipari che esce banalmente sconfitto da un litigio con la figlia diciottenne, o un Calipari pieno di elegante semplicità, di intima empatia, di decisionismo ed esperienza operativa, nonché esposto a qualche sano dubbio professionale e umano.
Il Nibbio ci restituisce un italiano e un uomo delle istituzioni, insieme ad un padre e a un marito.
E non è facile provare a fare ciò quando l’immaginario del pubblico è quello di agenti segreti alla James Bond, pronti a uccidere, donnaioli, distaccati, sempre al vertice di lusso e avventure spettacolari, lontani da famiglie e vite quotidiane. Nel mentre l’immaginario italiano legato ai servizi segreti è quello di trame e complotti, all’opposto di quello che è la vita di uomini di Stato.
Tale umanità ci amalgama nel raccontarci un uomo che in quel momento, quando arriva in Iraq, è Capo dipartimento della Seconda Divisione “Ricerca e Spionaggio all’Estero”. Ha già salvato le Due Simone (Simona Pari e Simona Torretta), insieme a tre addetti alla sicurezza (Umberto Cupertino, Maurizio Agliana e Salvatore Stefio) e ha dovuto superare il fatto di non aver potuto salvare Fabrizio Quattrocchi ed Enzo Baldoni. Insomma, un professionista esperto e ai massimi livelli mondiali.
Si badi bene, il film non manca di pecche. Qualche momento di noia, tempi forse troppo dilatati nella voglia di raccontare i passaggi delle trattative, ambienti talvolta abbozzati e claustrofobici, nonché stereotipi calati in brevità per risolvere scene minori e l’incapacità di dipanare, o anche solo accennare, alcuni dubbi storici che vengono schiacciati in una narrazione nazionalpopolare.
La regia di Alessandro Tonda (The Shift) supera la prova con qualche graffio, me è soprattutto la penna esperta di Sandro Petraglia (Romanzo criminale, Mio fratello è figlio unico, Suburra e molti altri) che può vantare, fra qualche difetto, il merito di restituirci Nicola più che l’agente Calipari. Anche se rimane da chiedersi quanto siano scindibili.
Verso la fine del film uno dei personaggi recita la battuta: “Nicola era una brava persona”. Verità quasi banale ma intrisa di realtà che non ci si aspetta spesso quando si parla dei servizi segreti. In questa maniera Il Nibbio costruisce un pezzo del processo di verità di allora e di oggi.
Nicola Calipari muore a Bagdad il 4 marzo 2005 mentre si dirige all’aeroporto per portare in salvo Giuliana Sgrena.
Nicola Calipari muore colpito da unici proiettili calibro 7.62 perché con il proprio corpo ha fatto da scudo a Giuliana Sgrena. Che così ha salvato.
(* critico cinematografico)
