di ALESSANDRA FONTANA
Niente dura per sempre, nemmeno i locali che sono rimasti impressi a nonni, genitori e figli. Attività portate avanti con passione e spirito di sacrificio. Ma nonostante la buona volontà, il presente a volte è un tempo ostile per molte zone dell’entroterra ligure, lo sanno molto bene Silvana Fontana e Giorgio Brizzolara che hanno preso una decisione dolorosa ma l’unica possibile: “La Pineta non riaprirà”.
L’albergo, ristorante e bar che si trova a Magnasco, frazione del Comune di Rezzoaglio in Val d’Aveto, dopo la consueta pausa dopo le fatiche estive non riaprirà. “Chiude così l’unico albergo di Rezzoaglio” racconta con dolore Silvana, la fine di un’epoca per il paese e per una valle che fino a qualche decennio fa era popolata e fiorente.
La Pineta ha aperto i battenti nel lontano 1958, a fondare l’impresa Maria Baracchi per tutti semplicemente “Mariuccia”. “Una donna sempre sorridente e tenace che lo scorso anno ha festeggiato la bellezza di 101 anni e che ha dedicato tutta la sua vita al locale facendoci crescere, e poi lavorare, anche i figli Giancarlo e Giorgio che con le rispettive mogli hanno portato avanti la tradizione anche dopo il pensionamento di Mariuccia che è sempre stata l’anima della Pineta”.
Una vera e propria istituzione in valle, gli avventori si ricordano di una signora gentile, ma risoluta, che girava tra i tavoli chiedendo “Tutto bene?”. L’età aumentava ma non diminuiva la voglia di intrattenere i clienti raccontando aneddoti o semplicemente controllando che sulla tavola fosse tutto a posto.
“Non avremmo mai voluto prendere questa decisione – continua Fontana – ma quando siamo rimasti solo io e Giorgio senza Giancarlo e Francesca ci siamo resi conto che non ce l’avremmo fatta”. Nessun aiuto in cucina, tanta stanchezza e la voglia di godersi le nipoti: “Durante l’estate uscivo solo per attraversare la strada e andare a Messa”.
Una vita fatta di sacrifici e rinunce che Silvana e Giorgio non vogliono certo buttare al vento: “Abbiamo il cuore stretto e pieno di malinconia. Per tre anni abbiamo tenuto duro, ci siamo anche costruiti una nuova clientela ma ora vogliamo riprendere in mano la nostra vita e speriamo che qualcuno abbia il coraggio e la voglia di investire qui”.
A mancare non erano né il lavoro né la volontà: “Abbiamo (quasi) settant’anni… è ora che qualche giovane con idee, voglia di fare, prenda in mano l’attività. Durante l’estate chiaramente si lavora tanto, meno durante i mesi invernali. La struttura è a posto, se qualcuno arrivasse potrebbe anche pensare di chiudere temporaneamente le camere per un periodo e tenere solo il bar e il ristorante operativi… abbiamo coltivato la clientela in questi anni, c’era anche chi dalla riviera veniva apposta da noi. Senza contare gli operai e chi appunto si trovava in valle per lavoro”.
Quando chiude un’attività, specialmente in paese, non viene meno solo un servizio, muore una parte stessa del borgo: “Era un punto di ritrovo, il posto dove potevi trovare qualcuno e fare due chiacchiere, un punto di riferimento per Magnasco”. Transitando lungo la provinciale è possibile vedere le tapparelle abbassate, la terrazza libera dai tavolini e un silenzio innaturale. Magnasco ha detto addio al suo bar (il primo andando in direzione Santo Stefano è a Gramizza, andando dalla parte opposta è Rezzoaglio), Magnasco ha detto addio, almeno per ora, a un pezzo della propria storia.