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Giovedì 4 settembre 2025 - Numero 390

Bruno Repetti racconta l’antica arte del cestaio: “Costruisco pezzi unici ma non per questo sono un artista” 

“Ho settant’anni e da quaranta mi dedico a questo. Sono di Borgonovo e un giorno, tanto tempo fa, incontrai un maestro che eccelleva nell’arte di costruire cestini. Ho imparato da lui”
Bruno Repetti racconta l'antica arte del cestaio
Bruno Repetti racconta l'antica arte del cestaio
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di DANILO SANGUINETI

Siamo giunti alle macchine che progettano altre macchine destinate a fare più rapidamente e più precisamente i lavori manuali. Oltre che per il pensiero alternativo non pare esserci spazio oggigiorno neppure per il fare differente, quello che sfrutta la visione e la fantasia della persona, del bipede, sapiens ormai solo per la tassonomia linneana. 

L’artigiano fiero di ciò che le sue mani e il suo occhio sono capaci di forgiare rischia di diventare una specie più rara delle Tigri della Neve, forse di fare la fine del Dodo. Per fortuna o per inerzia nella nostra zona, cercando con attenzione, si trovano ancora maestri che sanno, producono e, volendo, spiegano e propagano. In una domenica di ottobre passando per Borzonasca e fare una passeggiata per Agricasta, la kermesse legata alla cultura della castagna, tra tanti stand gastronomici, espositori, attività, musica e chi più ha più ne metta, ci si poteva imbattere in un signore di poche parole e molti fatti, compito e disponibile a far vedere con l’esempio di che cosa era capace.

Si presenta come Bruno Repetti, cestaio: chiunque abbia meno di trenta anni va subito in difficoltà dovendo fare un sforzo di immaginazione per capire di che cosa si occupa. L’interessato invece di dilungarsi in spiegazioni, illustra, ricorre all’esempio pratico. Sul tavolo di fronte a lui crea con velocità, sbalorditiva solo per chi della manualità ha un lontano ricordo, opere uniche, belle e che hanno un sapore di antico senza scadere nel vetusto. 

L’antica arte del cestaio è un mestiere che affonda le sue radici in un passato lontano, un tempo in cui la creazione di oggetti tramite l’intreccio di materiali naturali era una pratica comune e necessaria per la vita quotidiana. Questa abilità, che si è tramandata di generazione in generazione, rappresenta una forma d’arte e di artigianato che richiede precisione, pazienza e una profonda conoscenza dei materiali utilizzati, come il salice o altre piante locali. In Italia, l’arte del cestaio è stata a lungo una componente vitale della cultura rurale, con ogni regione che sviluppava stili e tecniche distinti basati sulle risorse disponibili e sulle esigenze locali.

Il signor Bruno a sentire una spiegazione così storicamente e sociologicamente articolata pare annoiarsi, anche se è troppo gentile per rimarcarlo. Alla lezione oppone il racconto: “Ho settant’anni e da quaranta mi dedico a questo. Sono di Borgonovo e un giorno, tanto tempo fa, incontrai un “maestro” che eccelleva nell’arte di costruire cestini e altre opere intrecciando le piante. Lo osservai, mi permise di stargli accanto, imparai. E oggi provo a fare lo stesso con chi si dimostra interessato”. Oggi la modernizzazione e l’avvento di materiali alternativi, la plastica in primis, ha spinto fuori dal mercato di massa simili opere. Il campo si è ristretto al lavoro di artigiani che mantengono viva questa tradizione, che provano a far conoscere il valore e la bellezza di questo mestiere. 

La storia di Bruno Repetti da Borgonovo è in questo senso emblematica: “Io penso di costruire non solo oggetti funzionali ma anche pezzi unici che possano essere utilizzati come decorazione”. Senza per questo definirsi artista. “Io sono e resto un “cavagnà”, un cavagnaro come si diceva nelle nostre valli che gira per le fiere a vendere la sua mercanzia. Per fortuna ancora mi cercano in molti da diverse parti: Varese Ligure, Sesta Godano, Borgotaro. Vado pagando di tasca mia e vengo compensato da quello che riesco a vendere. Debbo dire che ultimamente mi è anche capitato di ricevere un rimborso spese per alcuni eventi. Ne sono stato contento più che per il beneficio economico perché è stata la dimostrazione concreta che la mia opera è apprezzata”. E lo hanno capito persino in posti insospettabili. “Mastro” Repetti è ormai presenza fissa ai workshop (anche se lui li chiama “corsi”, refrattario alle astruserie linguistiche) che si tengono con regolarità all’Eremo di Sant’Antonio di Niasca, nell’entroterra di Portofino. Ciò che lascia sorpresi è constatare come questi “corsi” a pagamento siano frequentatissimi: gli studenti devono partecipare portando un’attrezzatura personale da lui indicata con precisione. “Direi: forbici da potatura, coltellino, pinzettine da elettricista, un metro da srotolare (non quello da falegnami) e una roncolina (se possibile)”. 

Il cestaro della Vallesturla mette a disposizione la sua abilità e la sua tecnica preziosa e in una sola giornata di intenso lavoro conta di aver consegnato ai suoi alunni almeno una capacità di intreccio e la conoscenza delle caratteristiche dei rami di varie essenze per creare cestini, strutture da giardino e altri oggetti.

Repetti lavora soprattutto con le piante che cerca e coglie personalmente, e con gli altri materiali che usa in base alla disponibilità delle risorse. Quindi ha il salice come legno più comune: un materiale apprezzato per la sua flessibilità e resistenza, che lo rende ideale per l’intreccio. Poi ci sono castagno, vimini, giunco e il bambù, ciascuno con caratteristiche uniche che influenzano l’aspetto e la funzionalità del prodotto finito.

Con pazienza il signor Repetti ti porta nel dettaglio della sua opera: “La scelta del materiale influisce non solo sull’estetica del cesto ma anche sulla tecnica di intreccio. Per esempio, il salice richiede di essere immerso in acqua per diventare più malleabile, mentre il vimini può essere lavorato a secco. Ogni materiale ha le sue specifiche esigenze di preparazione e manutenzione, che il cestaio deve conoscere e rispettare per garantire la qualità e la longevità dell’oggetto creato”.

In sintesi, l’arte del cestaio si basa su una profonda conoscenza dei materiali naturali e della loro lavorazione, un sapere che si è evoluto nel corso dei secoli ma che continua a essere fondamentale per la produzione di oggetti intrecciati che sono non solo funzionali ma anche espressioni di cultura e tradizione. Qui lo abbiamo capito? Chissà. Il sospetto è che altrove – e per altrove si parla di estero…n- siano più avanti per questa strada. Bruno Repetti sorride quando ricorda un curioso episodio: “Qualche mese fa ero seduto al mio banchetto in una fiera “Antichi Mestieri” e venni avvicinato da un gruppo di turisti olandesi che indicarono i miei lavori continuando a ripetere “Korb, Korb!”. Chiesi come facevano a sapere che cesto” nella mia lingua si dice “corba” E loro mi risposero: “Anche nelle lingue di ceppo tedesco!”. 

Il sostrato comune, il patrimonio culturale che ci dovrebbe unire. Per i boomer scatta il ricordo di quando la manualità era un valore non un minus; inevitabile sentire il morso della nostalgia. Attenzione però alla anfibolia del ragionamento: nostalgia deve significare reazione al come vanno le cose, vietato attribuirle il connotato della malinconia, la riserva indiana non va bene, il laudator temporis acti produce solo lacrime di coccodrillo. Mettersi alla ricerca di una alternativa all’affidarsi esclusivamente al robot significa studiare per mitigare la visione computerizzata del fare senza scadere nelle utopie luddiste della decrescita felice. Un punto di equilibrio va trovato. Persone come il signor Bruno Repetti vanno ascoltate e possibilmente seguite. Il loro know how – che le “AI” possono sfruttare, assai più arduo che possano sviluppare – non deve andare perduto come lacrime nella pioggia.

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