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Giovedì 4 settembre 2025 - Numero 390

Gli Stati Uniti allentano la stretta creditizia: ed è ossigeno in più per i Democratici

Sarà meno costoso accendere un mutuo per la casa, ma difficilmente si potrà registrare una ripartenza del mercato immobiliare
Jerome Powell è il presidente della Federal Reserve dal 5 febbraio 2018
Jerome Powell è il presidente della Federal Reserve dal 5 febbraio 2018
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Prosegue il nostro rapporto di collaborazione con la piattaforma ‘Jefferson – Lettere sull’America’, fondata e guidata dal giornalista Matteo Muzio. Il portale di ‘Jefferson’, con tutti i suoi articoli e le varie sezioni, è visitabile all’indirizzo https://www.letteretj.it, da dove ci si può anche iscrivere alla newsletter.

di MATTEO MUZIO *

Dopo tanti mesi di attesa, specie da parte del campo democratico, è arrivato il sospirato annuncio del governatore della Federal Reserve Jerome Powell durante l’informale riunione estiva che si tiene nel resort di Jackson Hole, in Wyoming, che riunisce alte figure provenienti dalle banche centrali di tutto il mondo sin dal 1981.

La location, un resort di montagna famoso anche per la stagione sciistica, era stato scelto dall’allora governatore della Fed Paul Volcker per la sua passione per la pesca delle trote, abbondanti nei torrenti dell’area. Questa volta però a “pescare” un sospiro di sollievo sono stati soprattutto i democratici, preoccupati dal rallentamento del mercato del lavoro e un possibile avvio di recessione proprio a poche settimane dal voto. E del resto Powell stava cominciando a preoccupare gli analisti per questo suo deciso rifiuto di allentare la stretta creditizia, cosa che invece avverrà prossimamente, alla prima riunione del consiglio d’amministrazione della Banca Centrale statunitense, il prossimo 18 settembre, a cui dovrebbe seguire un’analoga decisione degli omologhi europei.

Ora si cerca di capire se il taglio sarà di 25 punti base da 5,50 a 5,25 oppure addirittura di 50, mossa che testimonierebbe un riconoscimento dell’errore fatto nei mesi scorsi. Tra gli elementi che possono spiegare la ritrosia di Powell c’è anche però fresco nella memoria degli addetti ai lavori, ma non solo, l’immagine della crisi dei mutui subprime ben stampata nella mente di chi l’ha vissuta anche sotto un profilo tecnico. Inoltre, c’è anche il profilo personale del banchiere, noto per essere tendenzialmente monetarista e restio a usare i “bazooka” come ha fatto Draghi. Del resto, Donald Trump, quando lo scelse per quel ruolo nel 2018, aveva apprezzato anche questo profilo, oltreché il fatto che fosse più alto di Janet Yellen, colei che lo aveva preceduto in quella posizione che attualmente occupa la carica di Segretaria al Tesoro. Ciò non aveva impedito allo stesso tycoon di criticarlo pesantemente, nel 2020, per la riluttanza a varare politiche pesantemente espansive per rilanciare l’economia ma dopo otto anni non deve stupire l’incoerenza politica dell’ex presidente, che in genere è attento solo ad ottenere un risultato immediato senza pensare alle conseguenze. 

Concretamente però, cosa comporterà questo per le tasche degli americani? Prima di novembre decisamente poco. Certo, sarà meno costoso accendere un mutuo per la casa, ma difficilmente si potrà registrare una ripartenza del mercato immobiliare, che in città come New York e San Francisco, peraltro, non si è mai fermato nonostante la stretta di questo ultimo triennio. Certamente però si capisce come ormai la guerra lanciata dalla Russia nei confronti dell’Ucraina influisca sempre meno sul prezzo dell’energia e degli idrocarburi, toccando marginalmente l’economia degli Stati Uniti che, di fatto, è tornata a una solidità simile a quella degli anni pre-Covid, rendendo peraltro sempre meno sostenibile l’argomento repubblicano sui “disastri” della cosiddetta Bidenomics.

A quel punto però c’è un problema percettivo: per buona parte degli elettori trumpiani l’economia americana, che nel secondo semestre ha registrato una crescita su base annua del 2,8%, sta andando malissimo e i mercati sarebbero “sull’orlo del tracollo”, come detto, ripetutamente da Trump. Che fare dunque? Difficile dirlo, ci vorrebbe molto tempo per uscire da questa polarizzazione che divide ormai da molti anni l’America conservatrice da quella progressista anche per quanto riguarda i dati di realtà.

Di sicuro però possiamo dire che quest’argomento del disastro incombente, per quanto ci sia una forte percezione distorta, farà poca presa sull’elettorato indipendente che al momento, con il 41% di votanti registrati sul territorio statunitense, rappresenta la forza maggioritaria negli Stati Uniti. 

Del resto lo potrebbe testimoniare il quasi centenario Jimmy Carter: quando si registra una crisi economica nei mesi finali di presidenza, la sconfitta è praticamente certa. E al momento invece la gara è molto aperta.

(* fondatore e direttore della piattaforma ‘Jefferson – Lettere sull’America’)

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