(a.g.) Avrei voluto scrivere sulla scomparsa dell’amico caro Ottaviano Del Turco, già segretario aggiunto della CGIL per la componente socialista, già segretario del PSI nel dopo Craxi, già parlamentare, ministro delle Finanze e presidente della Regione Abruzzo, scomparso dopo una lunga malattia qualche giorno fa.
Avrei voluto ma ho trovato sul Quotidiano del Sud questo pezzo bellissimo di Giuliano Cazzola, anche lui ex sindacalista della CGIL e parlamentare socialista e caro amico, che, molto meglio di quello che avrei potuto fare io, ricorda Ottaviano e l’ingiustizia giudiziaria di cui fu vittima.
Io voglio qui solo ricordare il coraggio di Del Turco che, nel lontano febbraio del 1984 (quaranta anni fa) schierò la componente socialista della CGIL insieme a CISL e UIL firmando, con il Governo Craxi, il così detto “patto di San Valentino” per la sterilizzazione della scala mobile e lo fece con un duro conflitto con la maggioranza comunista della CGIL. Quel patto fu fondamentale per il blocco della spirale inflazionistica che attanagliava l’economia italiana e che danneggiava soprattutto i redditi fissi e più bassi.
Quel patto diventò legge e Berlinguer, con tutto il Partito Comunista Italiano, promosse un referendum abrogativo di quella legge per cancellarla. Berlinguer e il Partito Comunista persero quel referendum perché la maggioranza degli italiani disse no all’abrogazione della legge approvando l’operato del governo Craxi. Pensate che votò il 77% degli aventi diritto.
Cara Schlein, tu forse eri appena nata. Quella vicenda che vide Ottaviano in prima linea insegnò molto in tema di riformismo. Altro che referendum abrogativo del job act e Berlinguer sulla tessera del PD del 2024! Forse è per questo che dal PD e dalla CGIL nell’occasione della morte di Ottaviano Del Turco, al di là delle condoglianze formali, non è venuto alcun messaggio di messa in valore della figura di sindacalista e di politico.
Del Turco, vittima della giustizia e dei vergognosi silenzi di dem e Cgil
di GIULIANO CAZZOLA *
Non credo di sbagliarmi, ma seguendo i commenti che hanno ricordato la tragica vicenda di Ottaviano da quel 14 luglio 2008 fino al momento del decesso, mettendo in evidenza il cursus honorum di una vita ricca al servizio dei lavoratori, del sindacato e delle istituzioni democratiche, ho avuto l’impressione che sia assodato che Del Turco fu vittima di un episodio di malagiustizia e che gli scampoli di reato per cui fu condannato definitivamente dopo un iter giudiziario di un decennio, siano serviti a salvare la faccia a un sistema che fatica ad accettare clamorose smentite.
In questi giorni il suo difensore, l’avvocato Gian Domenico Caiazza, un vero principe del foro come si diceva una volta, si è impegnato a raccontare (necessariamente a puntate) il calvario processuale in tre gradi di giudizio, serviti a togliere di mezzo le imputazioni più gravi, pur ostinandosi a tenere in vita casi di scarso valore probatorio.
LA DIFESA NEL PROCESSO
Caiazza mette tutto bene in evidenza. Citando gli atti delle indagini – che Vincenzo Angelini, il grande accusatore di Ottaviano Del Turco, il boss della sanità privata abruzzese a cui la giunta presieduta da Del Turco aveva tagliato le unghie rapaci, fu praticamente indotto a formulare l’accusa di corruzione/concussione.
Leggiamo ciò che ha scritto Caiazza con riferimento ai rapporti tra Angelini e la Procura di Pescara: con riferimento ad Angelini. “Senonché (l’imprenditore, ndr) viene contestualmente ad apprendere – sono atti del processo, a disposizione di chiunque vorrà consultarli – che la Procura sta mettendo da tempo il naso nelle sue attività di storno di immense quantità di denaro (già una sessantina di milioni di euro) che egli starebbe da tempo sottraendo alle sue aziende.
Brutta storia. Ma forse, gli dice il Procuratore capo dott. Nicola Trifuoggi, questi soldi, o una parte di essi, Lei dott. Angelini li ha distratti dalle aziende perché costretto a pagare la politica? Ci pensi bene, perché in questo caso da potenziale indagato (di bancarotta per distrazione, per esempio, ma anche di corruzione), lei diventa persona offesa, vittima, concussa da Del Turco e sodàli, sa quella storia della concussione ambientale, Mani Pulite, eccetera. Insomma, ci pensi bene. Il verbale del primo approccio in Procura è testualmente in questi termini”.
E Angelini aggiunge: “Ci penso su, dice Angelini, ingolosito. Dopo qualche giorno, ritorna, per dire: a ben riflettere, oltre sei milioni di quei soldi che ho ritirato in contanti dalle mie aziende li ho dovuti dare alla vorace banda Del Turco”.
D’altro canto – le parole dell’avvocato sembrano scolpite nel bronzo, basta leggere l’incipit della sua “collaborazione”, per capire di cosa stiamo parlando: “Sono qui, questa sera, perché mi è stato assicurato che sarei stato compreso per quello che più avanti dirò”.
In sostanza, ad Angelini era stata promessa l’impunità se avesse eseguito quegli ordini espressi sotto forma di consigli e suggerimenti. Non è abbastanza per capire il vizio neanche tanto occulto di un’indagine che – stando a sentire la procura – poggiava su prove schiaccianti che non vennero mai trovate?
Eppure Ottaviano venne lasciato solo dalla Cgil, a cui aveva dedicato una vita, e dal Pd di cui era stato uno dei fondatori. Io non ho mai creduto – e l’ho detto pubblicamente – nella colpevolezza di Ottaviano. Essendogli amico, ho visto da vicino e posso testimoniare il grande sconforto che divora chi si sente abbandonato da persone con le quali ha comunanza di lavoro e di vita da decenni.
Ma, come a lui, è successo a tanti altri onesti amministratori, politici di sinistra (citiamo per tutti Filippo Penati, ma l’elenco sarebbe più lungo di quello dei proscritti filosionisti), di sentirsi abbandonati come un cane in autostrada se incappavano in un avviso di garanzia con relativa gogna mediatica.
Questa è una forma di sudditanza alla sacralità delle procure che abbiamo visto ripetersi tante volte da parte del Pd e della sinistra non solo nei confronti di avversari politici (da ultimo Giovanni Toti, costretto al ricatto delle dimissioni), ma anche di propri militanti, che lamentano di non aver ricevuto neppure una telefonata di solidarietà per timore di incappare in una intercettazione.
Ricordo ancora il coraggio di Del Turco quando – scarcerato – si presentava alla Camera e si sedeva su di una poltrona in Transatlantico. Mi chiamava mentre ero in Aula. Io lo raggiungevo e mi sedevo al suo fianco per assistere alla sfilata dei deputati del suo partito che ci passavano davanti concedendogli – quando andava bene – un breve cenno di saluto.
I SILENZI ASSORDANTI
Ma la viltà della politica riservava altre più sgradevoli sorprese. Il moralismo d’accatto che si era impadronito della stessa legislazione minacciò di togliere a Del Turco – ormai affetto da gravi malattie invalidanti che gli hanno succhiato quel poco di vitalità che gli era rimasta – il vitalizio maturato negli anni in cui era parlamentare (e, come tutti gli assegni degli ex, sottoposto al ricalcolo ai tempi della maggioranza giallo-verde).
Per fortuna la decisione apparve tanto turpe che suscitò sentite reazioni. Ma sia la Cgil (allora diretta da persone che dovevano tutto a Ottaviano) sia il Pd si voltarono dall’altra parte. Davanti alla sua bara, la Cgil si è fatta viva con un comunicato onesto di Maurizio Landini. Del Pd hanno parlato solo singoli e ben individuati esponenti. Dai vertici del partito è arrivato solo un silenzio assordante. Al funerale erano presenti, con tanto di fascia tricolore, molti sindaci del circondario e, il fatto gli fa onore, il presidente della Regione, Marco Marsilio.
(* questo articolo è uscito sull’edizione del 27 agosto 2024 del Quotidiano del Sud)