di GIORGIO ‘GETTO’ VIARENGO *
Nei giorni scorsi si è tenuta un’importante cerimonia al Castello Rocca, la strettoia tra Mezzanego e Borgonuovo: dopo anni di sofferenze per il traffico della vallata si è risolto un nodo viario che appariva impossibile da superare. Sindaci, autorità in rappresentanza della Regione Liguria e di Città Metropolitana e un dettagliato servizio del TG3 a conferma dell’importanza mediatica e politica dell’avvenimento.
L’immagine rimbalzata sulla stampa locale è quella di uno sfavillante nastro tricolore, una capace forbice e le autorità a stroncare metaforicamente l’implacabile voltino che strozzava la strada tra Appennini e mare. In questi casi il fatto di cronaca diventa un motivo per narrare ciò che magari non rammentiamo più e abbiamo cancellato dalla memoria collettiva.
Ricordo con precisione i lontani viaggi di famiglia tra Chiavari e Campori: si partiva da Piazza delle Carrozze su una rombante corriera della Fiumana Bella. Il grande autobus era posteggiato davanti al Cantero, qualche metro più in là della carrozza di Gamberini che assicurava il trasporto sulla linea Chiavari Lavagna, con – unica rivoluzionaria novità – le ruote del mezzo gommate.
La corriera partiva dopo un lungo preriscaldamento del motore; sul tetto del mezzo molti bagagli e casse, sacchi e stive con le galline. Si partiva risalendo Via Vittorio Veneto (non esisteva l’isola pedonale) in una nuvola bluastra e fortemente maleodorante. Per non patire il viaggio mia nonna Esterina mi aveva fatto ingoiare una pasticca di “Valontan”, un nome suggestivo, capace d’evocare un lungo e difficile viaggio e la speranza di cavarsela senza danni.
Si superava Carasco, si risaliva la Valle Sturla ed ecco il passaggio tanto atteso: un vero canyon da superare, l’autista col braccio teso schiacciava il clacson che emetteva un suono inconfondibile e annunciava il lungo muso dell’autocorriera in marcia a superare Castello Rocca. Qualche attimo d’attenzione nello strettissimo passaggio, auto ferme a controllare la difficile manovra. Poi il clacson taceva, il canyon era superato!
Controllando nella documentazione conservata, si può constatare come i tentativi di rendere quella strettoia più agevole e meno pericolosa fossero già annunciati da tempo. Mi reco in Economica e inizio a sfogliare i quotidiani del tempo, in particolare ‘Il Secolo XIX’ con le indimenticabili immagini di Foto Mariuccia.
Ecco la prima traccia: 12 febbraio 1966, la didascalia – “Il Castello Rocca in pieno decadimento e la strettoia che impedisce il deflusso del traffico sulla Provinciale a Mezzanego”. Il maniero appare, nel bianco e nero di Mariuccia, un colosso insuperabile; il profilo turrito e le merlature danno un aspetto sinistro a tutta l’insormontabile barriera. Al centro, il passaggio appare di misura. Continuo a sfogliare per verificare se il tema del transito trova conferme e altri riferimenti storico giornalistici.

Dagli scaffali dell’emeroteca cerco su diverse annate, ed ecco un nuovo riferimento: 4 marzo 1969 – “Un angusto tunnel per due Provinciali. Urgente risolvere la strozzatura che si trova a Borgonovo di Mezzanego, una vecchia costruzione che obbliga ad un pericoloso passaggio”. La didascalia mi rende davvero motivato a saperne di più: in fine dei conti io stesso avevo più volte superato l’angusto tunnel e il pericoloso passaggio. Continuo a sfogliare e ritrovo altre tracce del dibattito in proposito, dibattito che a un certo punto prende un tono narrativo, quasi da racconto d’avventura alla Giulio Verne. Si propone di non demolire nulla e creare un nuovo passaggio verso il fiume, una sorta di chicane per aggirare il Castello, poi nuovi stop alla viabilità, correzioni, nuovi articoli e promesse di soluzioni definitive. Il lungo lavoro di ricerca tecnica ingegneristica ha finalmente trovato la soluzione, ci sono voluti ben sessant’anni, ma ora il cielo luccica nel passaggio di Castello Rocca, come luccicano gli occhi di quanti assistevano al taglio del nastro.
Ora posso lasciare l’emeroteca dell’Economica e tornare sulla strada per verificare cosa resta della narrazione storica su questo importante percorso viario. Mi trovo all’angolo tra Via Piacenza e Corso Lavagna; lo spigolo è quello dello storico Palazzo del Dazio, dove una sontuosa epigrafe ci racconta dell’ammodernamento di questa viabilità. Era il periodo del Regno Sardo di Carlo Alberto; Chiavari si trovava al centro di un territorio vastissimo, questa strada apriva verso il mare le Valli Sturla e Fontanabuona, ed ora da qui si raggiungevano Parma e Piacenza. Le secolari vie Patraniche e il fitto reticolo di mulattiere conoscevano un’importante novità in questa rinnovata carrozzabile: unico neo, proprio il passaggio di Borgonuovo.

Continuando il cammino verso l’interno, con un po’ d’attenzione potremo intercettare tutte le più antiche tratte che caratterizzavano l’intero percorso. Guardiamo a San Lazzaro e poco dopo alla zona della Comorga: qui sono presenti ampi tratti dei percorsi primordiali. Proseguendo verso Carasco e attraversando il Borgo Vecchio passiamo sotto il voltino (questo non ha mai creato problemi) e controlliamo con attenzione il posizionamento delle case e la costruzione urbanistica del borgo antico. Ora via sulla Provinciale verso Borzonasca: in diversi punti sono presenti le vecchie varianti che delineavano il paesaggio più antico. Ecco, siamo al Castello Rocca e al nuovo passaggio dopo l’abbattimento dello storico voltino: soffermiamoci a guardare con attenzione il vecchio, medievale percorso viario interno che superava il Torrente Mogliana. Vi consiglio di percorrerlo a piedi e di osservare con attenzione le abitazioni che delineano il cammino: scoprirete le diverse botteghe dal tipico impianto medievale che ancora raccontano il nodo strategico di questa via, una vera porta di transito tra il mare e la Padana attraverso i passi Appenninici, con il nostro voltino del Castello Rocca che finalmente ha liberato il traffico automobilistico.
(* storico e cultore delle tradizioni locali)