di CASIMIRO DI COSTASECCA *
Sono un vecchio cronista di provincia che mantiene un vivo interesse nei confronti della Liguria, dove ho vissuto per molti anni, prima a Ponente e poi a Levante. La situazione che ho trovato tornando dopo una lunga assenza mi è parsa drammatica, e ora ve ne spiego il perché dal mio punto di vista.
La questione più rilevante è senza dubbio quella che riguarda l’indagine giudiziaria sul Presidente Toti e le sue dimissioni che in ottobre riporteranno la Liguria al voto.
La questione a mio giudizio si pone a due livelli.
Il primo è una questione di stile di governo. Senza dubbio, e probabilmente oggi Toti se ne rende conto e si farà una seria autocritica al riguardo, occuparsi delle grandi questioni economiche della Regione comprese quelle portuali, e avere contatti come è ovvio, e direi giusto, con gli imprenditori per capirne problemi e esigenze supportandoli sulla strada dello sviluppo, non può e non deve mai sfociare in una specie di comunanza e amicizia troppo stretta. Lo Stato è lo Stato, i suoi rappresentanti devono avere la giusta “gravitas” perché rappresentano gli interessi generali. Gli imprenditori sono, legittimamente, portatori di interessi particolari e come tali vanno trattati. Se gli interessi particolari coincidono con l’interesse generale, tanto meglio, ma ciò non è sempre detto.
Quindi verso di essi attenzione, ascolto, confronto, ma anche uno stile austero e un po’ di distanza, nell’interesse innanzitutto del decoro e del prestigio dell’Istituzione. I romani dicevano “non solo Cesare ma anche la moglie di Cesare…”.
Detto ciò, il secondo livello della questione è quello giuridico-giudiziario, e mi sembra il più rilevante. I processi e i giudici diranno come vanno valutati i comportamenti che la Pubblica Accusa addebita a Toti. Fino a un giudizio definitivo l’ex Presidente della Regione Liguria è un presunto innocente, e sta alla Pubblica Accusa dimostrare che ha violato norme imperative.
Tre anni di lunghissime indagini sono lì a suggerire quanto sarà complicato questo giudizio, anche per un’obiettiva insufficienza delle norme che regolano il finanziamento ai partiti. Se ci fossero state evidenza e flagranza di reato i pubblici accusatori sarebbero dovuti intervenire istantaneamente proprio per interrompere il reato: ma così non è stato.
E allora, in questo quadro di non chiara evidenza di reato, è mai possibile che un Presidente di Regione eletto per un secondo mandato con grande consenso popolare (la grande maggioranza dei cittadini ha dato quindi un giudizio positivo sul suo operato) messo sotto indagine per presunti reati di corruzione, resti agli arresti domiciliari per 84 giorni perché secondo i giudici del riesame, che hanno deciso sul permanere della necessità delle misure cautelari, ‘non ha capito’ il reato di cui è incolpato o comunque ‘nega di averlo commesso’ e quindi in sostanza deve rimanere agli arresti perché non si è ancora pentito?
È possibile che per ottenere la liberazione lo stesso Presidente si debba dimettere dalla carica perché l’alternativa sarebbe trascorrere ancora mesi di restrizione della libertà personale? Infatti, caso unico a mia memoria, la Procura ha chiesto e ottenuto il giudizio immediato per un reato contro la Pubblica Amministrazione. Ricordo che il giudizio immediato implica, per l’imputato che si trovi agli arresti domiciliari, il permanervi per tutta la durata del processo, data la presenza, come dice la legge, dell’evidenza della prova.
In altri termini i magistrati genovesi, anziché attendere la decisione della Cassazione sul rifiuto della libertà da parte del Riesame (un rifiuto dalle motivazioni così bislacche da sollevare le perplessità dello stesso Ministro della Giustizia) hanno preferito forzare, di fatto rendendo inutile il giudizio della Cassazione.
L’evidenza della prova che porta al processo immediato e che ha impedito, prima delle dimissioni, di liberare Toti dalle misure cautelari sembra francamente opinabile.
Restano ragionevoli dubbi (soprattutto per l’esiguità degli importi e per la regolare registrazione e tracciamento delle dazioni di denaro come normali finanziamenti al movimento politico di Toti e per l’assenza di atti illegittimi) sul fatto che quel denaro sia prova di corruzione.
È possibile che l’opposizione politica di sinistra chieda in piazza, davanti a poca gente ma presenti tutti i suoi leader nazionali (Schlein, Conte, Fratoianni, Bonelli), le dimissioni del Presidente appiattendo la sua azione politica, ancora una volta, sulla protervia della magistratura locale anziché rivendicare l’autonomia della politica?
È possibile che la maggioranza di centrodestra che governava la Regione, e di cui Toti era il presidente, anziché convocare un consiglio regionale straordinario nel cortile del palazzo di giustizia genovese per far capire a tutti che cosa è la divisione dei poteri, si sia sciolta come neve al sole senza avere il coraggio di fare una battaglia campale per riportare Toti in Regione e concludere la legislatura?
Tutto ciò purtroppo è successo. A più di trent’anni dal colpo di stato televisivo di Borrelli, Davigo, Di Pietro e Colombo che, con la complicità di un presidente della Repubblica codardo (Scalfaro) impedì al Parlamento di approvare una norma che avrebbe interrotto lo scontro tra politica e magistratura (legge proposta dal compianto ministro di Grazia e Giustizia di allora, il liberale genovese Alfredo Biondi), a più di trent’anni da tutto ciò, siamo sempre lì: il potere giudiziario straborda e di fatto pretende di avere il primato sulla politica e sul voto popolare.
Questa è la realtà. La colpa non è solo dei magistrati, è anche della politica, che in questi trent’anni anni non ha esercitato le sue prerogative, si è fatta intimorire e ha perso la sua autonomia e le sue guarentigie, prima fra tutte l’immunità parlamentare voluta dai padri Costituenti proprio per tutelare il potere legislativo delle Camere.
La vicenda Toti dimostra inoltre che il tema del finanziamento della politica va affrontato e chiarito al più presto, pena lasciare nelle mani dei magistrati un potere discrezionale inammissibile, consentendo loro di avere un primato sulla politica che non è previsto dalla nostra Costituzione.
(* da questo numero ‘Piazza Levante’ si avvale degli scritti di un nuovo collaboratore. Si tratta di Casimiro di Costasecca, parente e amico di Casimiro di Costarainera, eroe de “I giorni di Casimiro” di Umberto Vittorio Cavassa, romanzo storico a noi carissimo ambientato nella Chiavari del Risorgimento. Anche il nostro Casimiro, come quello di U.V. Cavassa, è un cronista locale attento ai fatti di Liguria, con animo da patriota liberale. Benvenuto tra noi!)