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Giovedì 4 settembre 2025 - Numero 390

La scelta degli americani: meglio un Presidente bugiardo o uno senile?

Senza un formale passo indietro di Biden niente può accadere: sebbene la stampa abbia stroncato la sua performance, il presidente è apparso piuttosto tranquillo nel post dibattito
Donald Trump e Joe Biden sfidanti anche alle elezioni del 2024
Donald Trump e Joe Biden sfidanti anche alle elezioni del 2024
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Prosegue il nostro rapporto di collaborazione con la piattaforma ‘Jefferson – Lettere sull’America’, fondata e guidata dal giornalista Matteo Muzio. Il portale di ‘Jefferson’, con tutti i suoi articoli e le varie sezioni, è visitabile all’indirizzo https://www.letteretj.it, da dove ci si può anche iscrivere alla newsletter.

di GIACOMO STIFFAN *

Il dibattito presidenziale che ha visto contrapporsi in diretta TV Joe Biden e Donald Trump ha rimescolato le carte in tavola di quella che fino a poco prima era la campagna elettorale presidenziale più noiosa a memoria d’uomo. Terminato con un sostanziale vantaggio per Donald Trump, il confronto si è svolto in una location insolita, gli studi della CNN, e sulla base di regole inusuali: niente pubblico, microfono chiuso quando non è il proprio turno, divieto di portare con sé degli appunti e assenza di fact checking in diretta.

Si tratta di condizioni svantaggiose in particolare per Biden, più anziano e noto da sempre per la memoria ballerina e le gaffe. Se a questo aggiungiamo la sua balbuzie, il quadro che ne esce è di un anziano signore che dimostra tutta la sua età, se non di più. Biden appare così fragile, incerto, lento. Quando non parla assume una postura rigida e un’espressione vuota, come se faticasse a capire dove si trova. Incespica sulle parole, talvolta perde il filo del discorso ed è costretto a riformulare la frase, con alcuni blocchi completi dai quali fatica a riprendersi. Senza giri di parole, si tratta di una performance comunicativa pessima.

Di converso, Trump è apparso molto più lucido, eppure meno veemente rispetto ai soliti comizi senza contraddittorio ai quali si è limitato finora, considerando che ha disertato anche i dibattiti per le primarie. Da un punto di vista meramente comunicativo, ha surclassato Joe Biden, mai apparso così vecchio e impacciato.

La cosa curiosa è che a essere restio a concedere il dibattito era proprio Trump, ed è stato lo staff di Biden ad accettare delle regole così svantaggiose per il proprio candidato pur di strappare un sì dal tycoon. Così, mentre Trump saltava di comizio in comizio rifiutando di allenarsi con dei dibattiti simulati, Biden si è (o, forse, è stato) rinchiuso per una settimana a Camp David con il suo staff. La sensazione è che proprio questa “preparazione” sia stata deleteria: il divieto di portarsi degli appunti ha portato al tentativo di infilare quanti più dati possibili nella mente anziana del Presidente, generando confusione e stanchezza.

Già a metà dibattito numerosi esponenti democratici hanno consegnato ai giornalisti commenti disfattisti che chiedevano a Biden di farsi da parte. Si tratta di un fenomeno curioso, in quanto rappresenta l’esatto opposto di ciò che qualsiasi esperto di crisis management avrebbe suggerito, cioè di evitare ogni tipo di commento critico prima di aver definito in camera caritatis una strategia per limitare i danni, e una narrazione che permettesse di minimizzare la debacle.

Non è stato questo il caso, e i giornali ci sono andati a nozze. Altra cosa curiosa è che ad aver stroncato con ferocia la prestazione di Biden sono stati anche e soprattutto i media più vicini al Partito Democratico, e stessa cosa si può dire per commentatori e influencer.

Nelle ore successive al dibattito le prime pagine e i feed social erano pieni zeppi di articoli e commenti sulla necessità di un passo indietro di Biden. Si tratta di un’eventualità possibile, per quanto molto rara. In questo caso, si arriverebbe a una cosiddetta brokered convention, ovvero Biden dovrebbe liberare i delegati eletti alle primarie dal vincolo nei suoi confronti, aprendo quindi alla possibilità che l’assemblea interna dei Democratici elegga un candidato diverso. Uno dei nomi papabili è ovviamente quello della Vicepresidente Kamala Harris, sebbene il suo gradimento non sia dei migliori, o la segretaria al commercio Gina Raimondo. Più adatti al ruolo, in particolare in opposizione a Trump, sarebbero però Gretchen Whitmer, Governatrice del Michigan, e Gavin Newsom, Governatore della California, i quali rischierebbero però di bruciarsi una più confortevole candidatura tra quattro anni.

Si tratta tuttavia di speculazioni, allo stato attuale. Senza un formale passo indietro di Biden niente di tutto questo può accadere: sebbene la stampa abbia stroncato la sua performance, il Presidente è apparso piuttosto tranquillo nel post dibattito, e man a mano che escono i sondaggi sembra che questa debacle venga sì riconosciuta dalla stragrande maggioranza degli intervistati, ma anche che muova meno voti di quelli che ci si aspettava a caldo, in particolare negli stati chiave.

Il motivo è presto detto: se scremiamo la mera apparenza e guardiamo ai contenuti, Biden ha fatto un lavoro migliore di Trump. Ha sempre risposto puntualmente alle domande degli intervistatori, ha spaziato su molti più temi e sebbene abbia sbagliato dei gol a porta vuota – in particolare sull’aborto, perdendosi in volo pindarici di poco interesse – ha quantomeno messo sul tavolo dei contenuti, e dei risultati.

Cosa che non si può dire di Trump, che ha sfruttato appieno l’assenza di fact checking in diretta per inondare gli americani di menzogne, conscio che qualsiasi successivo debunking non avrà mai altrettanto pubblico. Oltre a questo, Trump ha reiterato continuamente il tema dell’immigrazione, con argomenti che in Italia conosciamo bene: gli immigrati negli hotel di lusso, che rubano il lavoro, le risorse sociali, le case, addirittura le donne. Una ripetizione ossessiva, infilata in ogni risposta, e usata quale scudo per deflettere le domande scomode, come quelle sull’assalto al Campidoglio e sull’abolizione della sentenza Roe v. Wade, saltate a piè pari dal tycoon.

Non è un caso se, verso la fine del dibattito, la giornalista Dana Bash ha dovuto chiedere per ben tre volte a Trump se rispetterà il risultato delle elezioni. L’ultima volta arrivando a chiedergli in maniera piuttosto perentoria di rispondere con un sì o con un no, e ottenendo comunque una risposta vaga.

(* vicedirettore di Jefferson – Lettere sull’America)

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