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Giovedì 23 ottobre 2025 - Numero 397

“Noi sindaci di frontiera: un po’ responsabili e un po’ ‘matti’. Ma capisco chi molla tutto”: la testimonianza di Katia Piccardo

“Vedo tanta fatica e tanta stanchezza. La solitudine in cui siamo lasciati spesso fa male e demotiva anche i migliori. Le scrivanie dei sindaci sono piene di documenti ribaltati da enti che non si fanno trovare”
Katia Piccardo, sindaca di Rossiglione sin dal maggio del 2014
Katia Piccardo, sindaca di Rossiglione sin dal maggio del 2014
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di ALBERTO BRUZZONE

“Oltre che innamorati del proprio territorio… bisogna essere un po’ matti”. Katia Piccardo, sindaca di Rossiglione da dieci anni, presidente dell’Unione dei Comuni di Stura, Orba e Leira, e vice segretario metropolitano del Partito Democratico con una delega alle aree interne, interviene nel dibattito sui ‘sindaci eroi’ e sulla difficoltà a trovare candidati con la voglia di prendersi enormi responsabilità, avviato da ‘Piazza Levante’ lo scorso numero (leggi qui l’articolo): “È una sfida sempre più dura, le lotte e le battaglie sono quotidiane. Posso capire chi decide di ritirarsi”.

Sindaca Piccardo, sta per completare il suo secondo mandato. Lei che fa, si ricandida?
“Sono sindaca di Rossiglione sin dal maggio del 2014. Dieci anni tondi tondi. E sì, l’8 e il 9 giugno prossimi sarò ancora ai blocchi di partenza. Sono candidata nuovamente, e per il momento sono l’unica. Non so ancora se ci saranno sfidanti, al momento è una incognita”.

Nessuno vuole mettersi contro di lei…
“Può darsi (ride): ma manca ancora un mese e c’è tutta la possibilità per farlo. Io credo che a Rossiglione siamo riusciti a lavorare bene nonostante tutto e a intercettare tanti finanziamenti per lavori pubblici e altri cantieri. Non c’è un bando senza un nostro tentativo di partecipare: bisogna fare così, anche per non pesare sul bilancio comunale. Siamo riusciti a ottenere contributi nei settori più variegati, soprattutto per la messa in sicurezza dal rischio idrogeologico. Siamo andati bene, nonostante tutto”.

Nonostante cosa?
“Nonostante le alluvioni che abbiamo patito, nonostante una situazione infrastrutturale sempre più critica, per le autostrade ma non solo. Abbiamo vinto sfide durissime, come quella di far tornare il medico di famiglia. Servizi che nelle grandi città possono sembrare delle banalità, da noi invece non sono affatto così scontati”.

Lei si sente una sindaca di frontiera?
“Assolutamente sì, e sotto vari punti di vista. Sono la presidente di un’unione dei comuni dal 2015, abbiamo stretti rapporti con altri comuni del Genovesato, siamo legati alla Città Metropolitana, eppure è evidente che siamo in una terra di confine e che spesso noi sindaci siamo soli”.

C’è una crescente difficoltà a trovare candidati, lei la avverte?
“A livello personale per fortuna no. Tante persone si sono ricandidate con me: sono pilastri che continuano la loro strada insieme a me. E poi sono arrivate persone nuove. Però sì: in un quadro più generale vedo tanta fatica e tanta stanchezza. La solitudine in cui siamo lasciati spesso fa male e demotiva anche i migliori. Bisogna essere un po’ matti per fare i sindaci anche con strumenti assolutamente non adeguati rispetto alle grandi responsabilità che ci sono arrivate e che, via via nel corso degli anni, sono pure cresciute”.

Lei comprende chi getta la spugna?
“Sì, è comprensibile dopo dieci o più anni voler lasciare. Tra noi sindaci dei piccoli comuni si sviluppa quasi automaticamente un senso di solidarietà: ci parliamo e ci confrontiamo spesso. Capita di sentire colleghi e colleghe disperati e scoraggiati, costretti a scontare lungaggini burocratiche di ogni tipo. A Urbe si è riusciti ad avere un distributore di carburante con una immane fatica. Per non parlare degli sportelli bancari. È tutta una grande fatica. Noi però ce la mettiamo tutta per resistere. Io ci voglio ancora credere. Ma, chiaramente, il senso del dovere è parecchio alto in chi accetta queste sfide”.

Che cosa dovrebbero fare gli enti sovraordinati per evitare questa perdita di entusiasmo e di passione da parte dei sindaci eroi?
“Anzitutto, meno burocrazia. E poi prendere in considerazione le richieste che arrivano dai comuni in tempo di pace. Spesso ci troviamo ad affrontare le situazioni solamente in emergenza. La prevenzione andrebbe fatta, specie nel rischio di dissesto idrogeologico: programmare significa spendere anche meglio i soldi, non doverli spendere nel pathos di sfollare cinquanta persone in una sera, come è capitato a me. Vanno smaltite le procedure, ma va fatta a livello pratico questa azione, non basta lasciarla enunciata. E poi, come dice il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, credo che i sindaci siano le vere sentinelle dei territori. Però certi enti dovrebbero essere più accessibili e collaborativi. Le scrivanie dei sindaci sono piene di documenti ribaltati da enti che non si fanno trovare. Serve uno spirito di più leale collaborazione, come del resto ci ricorda la nostra Costituzione. Ecco, se tutte queste cose fossero sistemate, sarebbe meno difficile essere sindaci di frontiera”.

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