di SANDRO FRERA *
Qualche giorno fa si è aperta a Chiavari, presso la Galleria Grasso di piazza San Giovanni 3 una mostra organizzata dalla Associazione Tecnica Mista dall’intrigante titolo ‘Dialoghi Informali’. La mostra rimarrà aperta fino al 14 gennaio.
Nella piccola sala della Società Economica di Chiavari sono esposte quattordici opere di sette artisti che a vario titolo si sono rivolti (o possono essere ricompresi) nell’Informale. Gli artisti vanno da Chighine (1914/1974) a Canepa (1958), passando per Ugolini (1918/2006), Scanavino (1922/1986), Ruggeri (1930/2009), Sturla (1930) e Lavagnino (1935/1999). A memoria è la prima volta che a Chiavari sono esposte opere di pittori che in vita hanno avuto l’onore di una sala riservata alla Biennale di Venezia (Chighine, Scanavino e Ruggeri), evento (la Biennale) a cui è stato invitato nel 1966 anche Lavagnino.
I quadri esposti sono tutti di ottimo livello e, come si è detto, testimoniano di come l’Informale abbia dato frutti diversi (anche molto) a seconda dei decenni di produzione e delle sensibilità di ciascuno. Se, infatti, alla trattenuta ricerca naturalistica di Lavagnino corrisponde la lirica liquida ed onirica di Sturla, al rigore espressivo di Ugolini fanno da controcanto i due Ruggeri, uno Scanavino ed uno dei tre Chighine (negli altri due risuonano echi di un certo timbro di De Stael). Per ragioni anagrafiche la sintesi dovrebbe essere attribuita a Maura Canepa, nelle cui due opere esposte l’informale vira verso un certo espressionismo di matrice statunitense.
Bel lavoro, quindi, che merita d’essere visto e rivisto e che pone con chiarezza l’urgenza di una riflessione sulla lunga stagione informale, nata dalla serie Ostaggi di Fautrier (serie dipinta tra il 1943 e il 1945) e che ha pesantemente influenzato l’arte europea e americana.
Ora in rete vengono ricompresi nell’informale praticamente tutti i pittori che hanno operato a cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta (ad esempio Pollock e Burri), ma la distanza temporale oggi ci permette di distinguere meglio tra espressionismo, action painting, l’informale astratto, l’informale naturalistico, l’informale materico.
Queste distinzioni danno conto della difficoltà di definire un unico informale, difficoltà di cui dà conto in un ottimo esempio Calvesi nel suo ‘Le due avanguardie’, quando scrive: “Per il settore grosso modo neorealista, l’informale non è stato che sperimentalismo, un mezzo estremistico di sondaggio di alcune possibilità intrinseche non tanto al linguaggio quanto alle modalità della pittura; le nuove nozioni pittoriche di lì acquisite (la macchia o la scolatura, l’immediatezza gestuale del segno, l’allusione materica, il potenziale metamorfismo dell’immagine, ecc.) possono quindi essere assimilate ed adattate ad un corpo di un discorso che muta solo epidermicamente”. E continua: “Un secondo modo di vedere considera l’informale una fase di totale chiusura dell’artista in se stesso e di pura soggettività, nel rifiuto di ogni rapporto”.
A me pare evidente, anche alla luce delle opere esposte, che ad un informale naturalistico di derivazione pre e post impressionista (vedi Turner e Monet, ovvero nell’osservazione minuta degli elementi naturali il colore si stempera ed insegue atmosfere quasi al limite del musicale) si sia contrapposto un informale più rigido e rigoroso nella dissoluzione della forma, assumendo a tratti la forza deflagrante della materia. Al di fuori dell’informale in senso stretto si pone la poetica dell’espressionismo astratto di cui l’action painting e la violenza dei gesti sono una stretta coniugazione.
Detto tutto questo, restano il valore e la potenza delle opere. In questa mostra alcune sovrastano altre (a mio gusto il Torso di Ugolini, il Lavagnino del 90, Popolazione di Sturla, Natura morta grigia di Ruggeri, Immagine di Scanavino e Composizione verde e blu di Chighine), ma tutte emozionano profondamente. Complimenti.
(* ideatore del progetto Prima i Lettori ed esperto di arte)