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Giovedì 4 settembre 2025 - Numero 390

L’esclusione a Trump alimenta la polarizzazione negli Usa. E a The Donald questo piace…

Il Colorado e la raffica di inchieste saranno uno stress test politico per analizzare lo stato di salute della democrazia americana. Oggi assediato su più fronti
Donald Trump e Joe Biden sfidanti anche alle elezioni del 2024
Donald Trump e Joe Biden sfidanti anche alle elezioni del 2024
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di ANDREA MURATORE *

Prosegue il nostro rapporto di collaborazione con la piattaforma ‘Jefferson – Lettere sull’America’, fondata e guidata dal giornalista Matteo Muzio. Il portale di ‘Jefferson’, con tutti i suoi articoli e le varie sezioni, è visitabile all’indirizzo https://www.letteretj.it, da dove ci si può anche iscrivere alla newsletter.

Nemmeno troppo a sorpresa, il verdetto (sospeso nella sua esecuzione) della Corte Suprema del Colorado che ha bloccato la presentazione di Donald Trump alle primarie del Partito Repubblicano nello Stato ha spaccato la politica americana e l’opinione pubblica. E parliamo solo di un assaggio di quello che sarà il 2024: un anno elettorale che vedrà per la prima volta nella storia un candidato credibile alla nomination e alla Casa Bianca nuotare controcorrente contro un torrente di scandali giudiziari, processi e chiamate alla testimonianza nelle corti. Quanto di meno si potrebbe considerare confacente con la prospettiva della stabilità del Paese mentre si avvicinerà, assieme all’appuntamento delle urne, il ricordo del 2020. Anno in cui proprio le elezioni vinte da Joe Biden furono strumentalizzate e contestate da The Donald, fino al tragico showdown di Capitol Hill.

Il Colorado e la raffica di inchieste saranno uno stress test politico per analizzare lo stato di salute della democrazia americana. Oggi assediato su più fronti. Da un lato, il mai risolto tarlo della narrazione trumpiana che i sondaggi danno oggi maggioritari nel Partito Repubblicano che fu di Abramo Lincoln e Ronald Reagan: l’idea di una truffa elettorale subita nel 2020 e da vendicare, unita alla visione delle elezioni come una battaglia manichea contro un nemico identificato come portavoce delle istanze della sinistra radicale, del socialismo, della lotta all’identità americana. Dall’altro, l’altra faccia della polarizzazione: la pericolosa tendenza a pensare, in campo democratico, come possibile e cavalcabile l’ipotesi dell’eliminazione per via giudiziaria del rivale politico in un contesto che vedrebbe una crisi di rigetto in una buona metà della società americana. In mezzo, le derive politiche seguite agli anni di incertezza del Covid e del biennio delle crisi belliche: la politica americana deve interrogarsi sulla necessità di proteggere le prerogative economiche e sociali della cittadinanza, la sua prosperità e la stabilità della superpotenza in un contesto dove a predominare sono le battaglie culturali, le diverse identity politics di destra e sinistra, una perenne lotta ad personam.

La sensazione è che Trump non abbia interesse a evitare che questa polarizzazione si freni. Nel 2016, del resto, ha saputo governarla fino alla vittoria contro Hillary Clinton. E otto anni dopo, vista la difficoltà nei sondaggi di Joe Biden, mira a giocare contro Biden quel “tutti contro Trump” che gli fu rivolto addosso nell’era della pandemia e della difficile gestione del Covid-19. Oggi il gioco è mostrare Biden come un personaggio debole e incapace di gestire il Paese in cui sostegno si starebbe muovendo anche l’establishment giudiziario. “Trump sta festeggiando”, ha detto a Reuters John Morgan, avvocato della Florida e importante raccoglitore di fondi per il presidente Joe Biden. Morgan ha previsto una “miniera d’oro nella raccolta fondi” per il repubblicano. Inoltre, un sondaggio New York Times/Sienna College condotto dal 10 al 14 dicembre dichiara che il 62% degli elettori del Grand Old Party vuole Trump candidato anche in caso di nuove grane legali. Sul fronte interno, Trump giocherà questi dati contro la nuova, emergente sfidante Nikki Haley. La quale vuole ritornare al passato pre-Onu e pre-trumpismo, quando era considerata una figlioccia prediletta dell’establishment del Paese. Farsi portavoce del repubblicanesimo mainstream è per l’ex governatrice della South Carolina l’arma per controbilanciare la candidatura di Trump in un partito in cui un avversario per primarie contendibili non è ancora emerso. Ma non è detto che, nel clima di rivolta contro il governo che emerge nel GOP, possa essere quella vincente in quello che è ormai il “Trump Old Party”.

(* analista geopolitico ed economico)

Andrea Muratore, bresciano classe 1994, si è formato studiando alla Facoltà di Scienze Politiche, Economiche e Sociali della Statale di Milano. Dopo la laurea triennale in Economia e Management nel 2017 ha conseguito la laurea magistrale in Economics and Political Science nel 2019. Attualmente è analista geopolitico ed economico per ‘Inside Over’ e svolge attività di ricerca presso il CISINT – Centro Italiano di Strategia ed Intelligence e il centro studi Osservatorio Globalizzazione.

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