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di ANTONIO JUNIOR LUCHINI *
L’ombra di Donald Trump e di un suo possibile ritorno alla presidenza incombono sulla Casa Bianca: l’amministrazione Biden è sempre più irrequieta a causa della recente ondata di sondaggi che prefigurano una possibile rivincita del ‘tycoon’ alle elezioni presidenziali del 2024. Gli effetti di una possibile seconda vittoria di Trump inquietano tanti osservatori della politica internazionale: l’ex-presidente ha adottato posizioni e idee ancora più radicali e non sarà più circondato da policymaker esperti o comunque disposti a temperarne l’animo, come fu il caso con la ‘triade’ di generali composta da Mattis, Kelly e McMaster.
Trump ha intensificato la sua retorica anti-NATO. L’alleanza militare è considerata un ‘peso’ per i contribuenti americani, che permette ai supposti alleati europei di subappaltare la loro politica di sicurezza agli Stati Uniti e abdicare alle proprie responsabilità. Un tentativo trumpiano di ritirarsi dall’organizzazione incorrerebbe in diversi problemi e verrebbe probabilmente bloccato dalla Corte Suprema, ma il raggio di azione per il presidente rimarrebbe ampio: potrebbe decretare la chiusura di basi e il ritorno di truppe ed equipaggiamenti negli Stati Uniti senza incontrare particolare resistenza dal dipartimento della Difesa.
Eppure, il danno più grosso deriverebbe dalla capacità di Trump di minare la credibilità dell’alleanza stessa e la sua capacità di deterrenza: la possibilità che gli USA non intervengano più per tutelare i membri dell’alleanza e in particolare i paesi dell’est europa, aprirebbe il fianco ad attacchi armati ed altre azioni ostili da parte di attori statali come la Russia di Putin.
Per quanto riguarda il ‘fronte pacifico’, nonostante la retorica ferocemente anti-cinese di Trump, la Repubblica Popolare beneficerebbe anch’essa da una sua possibile rielezione: Biden ha utilizzato toni meno accesi con il colosso asiatico, ma anche subdolamente portato avanti importanti campagne di ‘alliance building’ nella regione, assemblando una coalizione di paesi neutri e rinforzando la presenza americana in regione con forme di proiezione economica e militare, come nel caso del recente accordo per la vendita di armamenti al Vietnam. Trump, il cui approccio è sempre stato più che altro determinato dalle tendenze protezionistiche del suo elettorato, tralascerebbe questi ‘orpelli diplomatici’ in favore di una nuova guerra commerciale con la Cina. Sicuramente un fastidio per Xi Jinping, ma molto meno difficile da affrontare rispetto all’approccio ‘smart’ dell’amministrazione Biden.
Ne uscirebbe danneggiato anche l’impegno statunitense per il contrasto al cambiamento climatico, alla luce delle posizioni negazioniste di Trump e del suo precedente ritiro dagli Accordi di Parigi. Il mondo di oggi tuttavia non è quello del 2016: l’industria delle energie rinnovabili ha vissuto una crescita vorticosa anche negli Stati Uniti, dove molte aziende produttrici di impianti solari ed eolici sono riuscite, tramite lobbying e attività di finanziamento elettorale, a conquistare il supporto di diversi politici repubblicani. L’industria ‘green’ americana probabilmente resisterà all’urto, discorso che si fa diverso per quanto riguarda l’ambito della ricerca climatologica e le agenzie federali quali l’EPA, a rischio definanziamento. Una delle preoccupazioni principali degli esperti del settore è la possibilità che una futura amministrazione Trump nasconda e sopprima i dati sull’andamento del cambiamento climatico compilati da ricercatori ed agenzie governative, comportamento già avvenuto su scala minore nel 2017.
La lotta alla verità e al consenso scientifico, acuitasi con l’epidemia di Covid del 2020, sarà il piatto forte di una seconda amministrazione Trump, complice l’estrema polarizzazione della società americana su temi quali l’obbligo all’uso delle mascherine, i ‘passaporti vaccinali’, i lockdown e le chiusure scolastiche. Lo stile politico di Trump, che contrappone l’emotività dei suoi mega-raduni alla freddezza ‘tecnocratica’ delle amministrazioni a guida dem, funziona ancora. Un modo di far politica istintivo, slegato dai fatti, intrinsecamente pericoloso per la salute della repubblica americana, contro cui l’amministrazione Biden non ha ancora trovato una risposta convincente.
(* ricercatore in relazioni internazionali presso l’Università di Tartu
e collaboratore del blog Jefferson – Lettere sull’America)