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di ANTONIO JUNIOR LUCHINI *
Esattamente tre anni fa, un sondaggio condotto dal quotidiano di Gerusalemme Times of Israel rilevava un ampio scetticismo del pubblico israeliano verso Joe Biden: poco più del 21% della popolazione dello Stato ebraico esprimeva la sua preferenza verso l’allora candidato Democratico, comparato sfavorevolmente a Donald J. Trump. Una situazione cambiata repentinamente nell’ultimo mese e mezzo, come constatato dall’ampio apprezzamento israeliano per il comportamento tenuto da Biden all’indomani degli attacchi del 7 ottobre.
Biden ha raccolto soltanto parzialmente la contestata eredità di Obama in Medio Oriente: quest’ultimo aveva programmato un ritiro sostanziale degli Stati Uniti dalla regione nell’ottica della maggiore importanza del teatro Asia-Pacifico nel calcolo strategico americano. Parte integrante di questo ‘Pivot to Asia’ era tentare di risolvere fenditure ancora aperte, come nel caso del controverso JCPOA, trattato volto a revocare le sanzioni sulla Repubblica Islamica d’Iran in cambio di una sospensione del programma di armamento nucleare di quest’ultima. Tra gli architetti di questa decisione, che aveva particolarmente irritato Benjamin Netanyahu, spiccava il ghostwriter Ben Rhodes: Rhodes, per sua stessa ammissione, aveva costruito una fitta rete di yes-men e consiglieri prezzolati volta a influenzare Obama sulla fattibilità dell’accordo. Alcuni degli analisti iraniani invitati in America da Rhodes avevano inoltre legami poco chiari con il Corpo delle Guardie Rivoluzionarie, l’élite politico-militare del paese.
Allo stesso modo, Rhodes aveva incoraggiato Obama a disinteressarsi della questione siriana e a sospendere il programma di supporto militare alle fazioni ribelli promosso dalla CIA: nell’ottica di Rhodes, gli interventi russi e iraniani a supporto del regime di Assad avrebbero finito per confliggere l’uno con l’altro, consumando le energie di ben due rivali strategici nei deserti siriani. Nel frattempo, miliardi di dollari in asset stranieri dello Stato iraniano venivano ‘scongelati’ dal dipartimento di Stato Americano e riportati nelle casse di Teheran, che ne impiegò una parte consistente per sostenere le attività della ‘Forza Quds’, la branca dei Pasdaran esperta in guerriglia e operazioni clandestine.
Il vuoto di potere lasciato dagli Stati Uniti in Iraq e Siria permise all’Iran di costruire una larga rete di milizie sciite nei due Paesi, costruite seguendo la falsariga di Hezbollah in Libano e impiegate nella lotta all’ISIS, ma anche nella soppressione di forze arabe contrarie alle influenze iraniche nei rispettivi paesi. In Yemen, la decisione statunitense di lasciare la conduzione della lotta all’insorgenza Houthi nelle mani dell’esercito Saudita si rivelò fallimentare, conducendo a una grave crisi umanitaria e alla mancata eliminazione del movimento, fortemente filoiraniano. Israele si è trovato progressivamente accerchiato dalle milizie affiliate ai Pasdaran, nonostante molteplici tentativi di sabotare l’impero paramilitare iraniano tramite campagne di bombardamento in Siria e Libano.
Dopo la sospensione del JCPOA da parte dell’Amministrazione Trump e la riaccensione della ‘guerra fredda’ tra USA e Iran, la posizione favorevole alla ‘détente’ con la Repubblica Islamica si è indebolita anche tra le file dei Democratici. L’approccio di Biden all’attuale crisi ne è un perfetto esempio: il Presidente americano ha ribadito il sostegno ad Israele nella sua operazione di sradicamento di Hamas dal territorio di Gaza, e mobilizzato ben due strike group aeronavali al largo dello stato ebraico, volti a distogliere Hezbollah in Libano dal compiere un escalation militare sulla frontiera settentrionale di Israele.
Anche se l’Amministrazione Biden continua il pivot all’Asia lanciato da Obama, Israele rimane un appoggio strategico importante per gli Stati Uniti nella regione. Gli attriti personali tra Biden e Netanyahu, conosciutisi per la prima volta quando quest’ultimo era in servizio diplomatico a Washington D.C., sono cosa risaputa, ma non cambiano il calcolo strategico americano. Pur invitando le forze armate israeliane a limitare il numero di vittime civili e pianificare il ritorno dell’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) nella Striscia, il governo USA sostiene saldamente le operazioni militari. Sullo sfondo, continua la mediazione americana con il Qatar, emirato i cui profondi rapporti con Hamas possono essere chiave nell’individuazione di un accordo volto a liberare gli ostaggi sequestrati il 7 ottobre scorso.
(* ricercatore in relazioni internazionali presso l’Università di Tartu
e collaboratore del blog Jefferson – Lettere sull’America)