di DANILO SANGUINETI
Un tocco di biancoceleste (in salsa chiavarese non sudamericana) nell’iride dei campionati mondiali di calcio che si sono tenuti a Doha in questo calcisticamente insolito dicembre 2022. Nel quarto di finale che ha portato contro ogni pronostico la Croazia a superare il Brasile ci ha messo lo zampino, anzi è risultato decisivo ai fini dell’esito dei calci di rigore, Bruno Petkovic, croato, centravanti di qualità indiscusse anche se non di coerente rendimento. Gettato in campo nella ripresa, ha firmato al 117’ minuto, ossia a 3’ dalla fine dei supplementari, il fondamentale gol con il quale il paese dalla bandiera a scacchi biancorossi ha rimediato a quello realizzato 12 minuti prima dalla eterna incompiuta brasileira, Neymar Junior. Una rete fondamentale quindi perché ha portato a decidere il passaggio del turno mediante i calci di rigore. Rigori dove la Croazia ha surclassato un Brasile condannato dal peso del pronostico e dagli irrisolti dubbi dei suoi tanti campioni, vani quanto promettenti.
Il percorso di Bruno Petkovic e della sua Croazia si è fermato il turno successivo, nella semifinale dominata dall’Argentina: ancora una volta il centravanti è entrato nella ripresa, al 50’, ma niente ha potuto per invertire il senso del match conclusosi con un eloquente 3-0 per l’Albiceleste.
Resta il dato statistico del primo gol segnato ai Mondiali da un giocatore che ha indossato la maglia della Virtus Entella. Bruno Petkovic iniziò il percorso che l’avrebbe portato nei piani nobili del calcio mondiale proprio da Chiavari. In un certo senso ha fatto meglio di Nicolò Zaniolo che pure è arrivato a vincere una Conference League con la maglia della Roma e che proprio sui campi sull’erba sintetica del Comunale di Chiavari si mise in luce (titolare nella Primavera con qualche presenza in prima squadra in serie B) e accumulò conoscenze utili per il grande balzo verso il calcio di serie A, prima Inter e poi Roma appunto.
Sembra incredibile eppure Petkovic, oggi 28enne, sette anni fa arrivò al Comunale in cerca di rilancio. Nella prima metà della stagione 2015/16 in serie B, totalizzò 13 presenze e una rete, guarda caso contro quel Trapani che lo prese al mercato di riparazione. Petkovic era arrivato in Italia giovanissimo: nell’estate 2012 il Catania lo acquista dall’Under 19 del Hrvatski Dragovljac, squadra del suo paese. Riesce a esordire nella squadra Primavera del club siciliano solo sei mesi dopo per problemi burocratici: nelle prime 4 partite segna 3 gol. In prima squadra debutta nell’ultima giornata della stagione 2012-2013 in serie A contro il Torino. L’anno dopo è nella lista A ma gioca solo 4 gare. E nell’estate 2014 il Catania retrocede in serie B e Petkovic viene dato in prestito: Varese, Reggiana (una dozzina di partite e 5 reti) e proprio Virtus Entella.
Il primo febbraio 2016 il Trapani prende Petkovic in prestito con diritto di riscatto: 18 presenze, 7 gol e 7 assist con Cosmi allenatore, il Trapani va a un passo dalla serie A, sfumata nella finale playoff con il Pescara. Il team lo riscatta in estate: 3 gol in 17 presenze nel girone d’andata 2016-2017. Nel mercato invernale torna in serie A. Il Bologna lo paga 1,2 milioni di euro: 22 presenze, 0 gol e 1 assist. Da gennaio a giugno 2018, in prestito al Verona dal Bologna: i veneti retrocedono, 20 presenze, 0 gol. Torna in patria e finalmente esplode: alla Dinamo Zagabria nell’agosto 2018. Gol pesanti e gol da favola tipo la rovesciata in Champions League contro il Bodo Glimt. Accumula 192 presenze con la Dinamo e 62 gol fatti, oltre a 45 assist. Dal 2019 fa parte in pianta stabile della nazionale croata. Strano come un attaccante di struttura fisica importante e allo stesso tempo di discrete doti tecniche nel nostro paese non ha funzionato. La risposta chi era allora all’Entella la conosce abbastanza bene: Bruno tipo chiuso e introverso, che faticava persino a imparare la lingua del paese che lo ospitava da ben 4 anni, soffriva di ‘saudade’, malattia oscura che non colpisce solo i sudamericani. In campo non legava con i compagni, figuriamoci fuori. Un componente dello staff tecnico dell’epoca ebbe a dire: “Lo vedi che ha colpi di livello superiore e ti fa rabbia perché se si sforzasse, magari si applicasse anche in allenamento dove non brilla per voglia di sacrificio, sarebbe un crack”. Insomma un croato ‘sbagliato’ che a differenza di tanti suoi connazionali cittadini del mondo, a loro agio sotto ogni bandiera, solo nell’area tra Rijeka e Split ingabbia lo spleen e torna a assestare le sue zampate da orso croato.