Nell’ultimo numero di ‘Piazza Levante‘ avevamo sollevato il tema delle grandi opere e ci eravamo concentrati sulla situazione insostenibile della viabilità dei tratti urbani di Genova, e del loro collasso già perdurante da molti anni, con indicibili disagi quotidiani per gli utenti privati e commerciali ed in particolare per il vasto e silenzioso pubblico dei pendolari.
Avevamo ricordato i colpevoli ritardi delle amministrazioni comunali genovesi e regionali liguri che negli ultimi 25 anni non erano riuscite ad individuare una soluzione alternativa all’ingorgo dei flussi di traffico diretti al capoluogo e al suo porto provenienti da nord, da est e da ovest, e che si erano lasciati condizionare e paralizzare dai comitati No gronda.
Tali comitati negli ultimi anni avevano avuto il sostegno e la protezione del M5S, che aveva ospitato i loro messaggi sul sito del movimento, compreso quello, rivisto nelle ultime ore, che irrideva a chi denunciava i rischi della situazione fino al rischio ultimo del collasso delle infrastrutture esistenti.
Avevamo ricordato la posizione drastica del nuovo ministro delle infrastrutture Toninelli, che a proposito della Gronda aveva dichiarato che si trattava di un’opera inutile e da non farsi.
Una settimana fa non potevamo ovviamente immaginare che pochi giorni dopo, alle 11.36 della vigilia di Ferragosto, una sezione lunga circa 200 metri del ponte Morandi, detto anche viadotto della Val Polcevera, avrebbe ceduto all’improvviso crollando al suolo con la tragica conseguenza di decine di morti e di dispersi.
Si tratta di una tragedia immane, innanzitutto per le vite umane perdute e per il dolore che queste morti hanno generato ai familiari e ad una opinione pubblica attonita.
Ma immane è anche l’impatto su Genova, che con il crollo del ponte Morandi perde uno dei suoi simboli di modernità e si chiede sgomenta cosa succederà ora.
Le inchieste (della Magistratura, del Governo, della Società Autostrade) cercheranno di capire cosa è successo e individueranno, forse, specifiche responsabilità.
Ma ciò che si dovrà affrontare subito non è solo la denuncia o la ricerca di responsabilità, che da parte di molti esponenti del governo sono state brandite, anche nelle prime ore dalla tragedia, come clave di una mai finita campagna elettorale.
Ciò che i genovesi e i liguri chiedono al governo e alla politica è: diteci come avete intenzione di affrontare il problema degli oltre 650 sfollati; come affrontare gli enormi problemi viari, di traffico e di mobilità che a causa del crollo del ponte colpiranno con la forza di uno tsunami l’area a più alta intensità logistica del paese.
Quasi la metà delle merci esportate dall’Italia passano per il porto di Genova, il cui ingresso è a pochi chilometri dal viadotto crollato, e che senza di esso rischia il collasso.
Il collegamento ferroviario Genova-Milano merci è stato interrotto dal crollo e forse ci vorranno mesi per ripristinarlo. Bisognerà probabilmente demolire le campate rimaste in piedi che sono, si dice, pericolanti.
Ci sono più di 650 persone che abitavano nei palazzi siti nelle vicinanze del viadotto e che rischiano di non rientrare mai più nelle loro case.
Tutte queste emergenze dovranno essere affrontate con spirito forte, tenacia, intelligenza e praticità. In momenti come questi le polemiche fanno schifo e non servono a risolvere i problemi.
Occorre al contrario affrontare la tragedia e le sue drammatiche implicazioni a breve, medio e lungo termine con lo spirito positivo di chi crede nel progresso, e che sia possibile costruire un futuro per Genova e per la Liguria.
Questo spirito e questa determinazione si devono opporre fieramente ai teorici del nulla. C’è sempre una buona ragione per non fare nulla: l’ambiente, l’austerità, i comitati di cittadini che difendono le serre del basilico, la Corte dei Conti, la magistratura estremista, la lotta agli sperperi e alla corruzione.
Il ministro Toninelli polemizzando con il presidente del parlamento europeo Tajani che difendeva la TAV ha detto: “Bisogna che Tajani capisca che la mangiatoia è finita”.
Signor Ministro, Lei pensa che ogni grande opera sia una mangiatoia? Se sì, siamo condannati a un inesorabile declino nel quale il paese vedrà invecchiare sempre di più le sue infrastrutture senza riuscire a sostituirle e a rinnovarle, e perderà sempre più terreno nei confronti degli altri paesi europei, che invece sulle infrastrutture investono continuamente, facendole diventare uno degli assi portanti dello sviluppo.
La tragedia del crollo del ponte Morandi in fondo ci insegna proprio questo: tutti sapevano che si trattava di una struttura ‘stanca’, costruita negli anni Sessanta per reggere volumi di traffico dieci volte inferiori agli attuali. Nessuno è riuscito a prevedere la sua drammatica fatica finale, trovando una soluzione alternativa e praticandola.
Negli anni 90, all’epoca delle Colombiadi, il governo nazionale aveva stanziato ingenti fondi che avrebbero permesso la costruzione di un secondo viadotto 700 metri a monte del ponte Morandi. I genovesi, o quelli tra loro che all’epoca comandavano, non lo vollero, e i fondi furono dirottati sulla Salerno-Reggio Calabria.
Sul progetto della Gronda si è già detto, e vedremo che cosa ne sarà domani.
Perfino la realizzazione del Lungomare Canepa, l’unica arteria che dopo la tragedia aiuterà un poco ad alleggerire la morsa del traffico tra Sampierdarena e Sestri Ponente, fu duramente contestata dai soliti comitati, dalle solite anime belle, dai soliti teorici del nulla.
Se Genova e la Liguria vogliono risorgere, questa cultura del non progresso, della decrescita felice, del ‘meglio non fare nulla’ (declinazione estremistica del principio di precauzione) va sconfitta.
Va sconfitta con la passione e con l’ambizione di tornare ad essere grandi, ma anche con gli argomenti razionali, gli studi scientifici, il rispetto per le conoscenze e le competenze di cui l’umanità non può fare a meno, pena la ricaduta in un medioevo di credenze, di declino delle conoscenze e di povertà economica e morale.