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Giovedì 4 settembre 2025 - Numero 390

Tigullio, il grande inganno delle dinamiche metropolitane

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Analisi e studi recenti segnalano, anche nel nostro Paese, una crescente concentrazione della ricchezza sia privata (il reddito pro capite dei cittadini) che pubblica (la dotazione di servizi e infrastrutture a disposizione di famiglie e imprese) nelle grandi aree urbane, con un progressivo impoverimento e declino delle aree periferiche e interne.
Ciò sembra imputabile a due fattori distinti.
Il primo riguarda la dinamica dell’economia della conoscenza che, ad onta della vulgata che vorrebbe nel nuovo mondo l’abbattimento delle distanze fisiche e l’indifferenza delle diverse location di vita e di lavoro, in realtà concentra sempre di più in poche aree urbane le dinamiche dello sviluppo legate all’accumulo conoscitivo, all’interazione ravvicinata delle persone e delle professionalità e alle disponibilità di servizi e infrastrutture di rango elevato (università, centri di ricerca, grandi imprese, incubatori ecc).
Il secondo riguarda le conseguenze, anche per l’Italia, delle politiche di austerità e di taglio della spesa pubblica che provocano continui ridimensionamenti concentrazioni e chiusure di servizi di tutti i tipi: sociosanitari, di trasporto, scolastici, di giustizia e di sicurezza.
Vengono così a crearsi gravi disparità tra le condizioni di vita e di lavoro delle popolazioni di serie A, che hanno la fortuna di risiedere nelle grandi aree urbane dove le dinamiche dello sviluppo e della modernizzazione offrono continue opportunità, e quelle delle popolazioni di serie B, che si trovano nelle aree periferiche e interne sempre più abbandonate a se stesse, sempre più distanti dai processi di crescita e sempre più declinanti.
Si dirà che, in qualche misura, ciò è sempre stato vero. Ma ciò che invece viene segnalato oggi è la velocità e la profondità di questi processi, che generano crescente disagio nella popolazione e crescente rifiuto di modelli di sviluppo non inclusivi.

Queste dinamiche hanno segnato negli ultimi dieci anni anche il Tigullio, e vale la pena di chiedersi quale sia oggi il differenziale nelle condizioni socioeconomiche e culturali della nostra cittadina e del nostro entroterra rispetto a quelle del capoluogo.
Come Tigullio siamo stati inseriti, solo per ragioni politico-burocratiche, nell’area metropolitana genovese, ma fino ad oggi non abbiamo partecipato per nulla alle dinamiche metropolitane in termini di insediamento e presenza di servizi ed attività avanzate.
Al contrario, la dotazione di servizi e infrastrutture è andata continuamente impoverendosi, con gravi e reiterati danni e disagi per le nostre popolazioni residenti.
Pochi ma significativi esempi al riguardo:
– la chiusura del Tribunale di Chiavari, di cui si è parlato nel numero precedente di ‘Piazza Levante’ e di cui torniamo ad occuparci già in questo stesso numero;
– la pressoché completa scomparsa da Chiavari degli uffici finanziari, tutti concentrati nel capoluogo genovese (al posto dell’Ufficio Imposte dirette, dell’ Ufficio del registro e della Commissione tributaria di primo grado resta un piccolo presidio che svolge funzioni di mero sportello);
– l’accorpamento dell’azienda di trasporto pubblico (la gloriosa Tigullio Pubblici Trasporti) nell’azienda del capoluogo;
– le ricorrenti voci di accorpamento con Genova di tutta la direzione dell’ASL 4.

Queste chiusure ed accorpamenti non sono stati indolori per i cittadini del Tigullio e per il loro benessere, sia perché hanno ridotto la dotazione di servizi di prossimità sia perché hanno impoverito il tessuto economico che nei centri direzionali e nella loro permanenza sul territorio aveva tradizionalmente trovato un punto di aggancio e di crescita.

Cercheremo nei prossimi numeri di ‘Piazza Levante’ di approfondire il tema e di verificare se anche per il Tigullio le motivazioni sempre addotte per tali scelte (economie di scala, specializzazione, maggiore efficacia ecc) sono reali o se invece non si è trattato in larga misura di un’ideologia di potere dei gruppi dirigenti del capoluogo ligure volta a limitare e a mitigare il declino di Genova sottraendo ricchezza e lavoro al nostro territorio (intanto, in questo numero, proviamo a fare un po’ i conti in tasca all’operazione ‘soppressione del Tribunale di Chiavari’ con l’aiuto dell’avvocato Trossarello che tanto si è battuto per impedirla).
L’impressione che si ha è che la debolezza della politica e dell’economia del Tigullio non abbiano consentito negli ultimi vent’anni di opporsi con forza a questi processi. Non vi è stata una vera presa di coscienza da parte dell’opinione pubblica e delle sue classi dirigenti del significato di ciò che stava accadendo e conseguentemente non vi è stata azione e mobilitazione.
Il futuro del Tigullio e la possibilità di tenere sul nostro territorio le nuove generazioni che si sono formate nei nostri istituti scolastici e che sempre più lo lasciano per cercare lavoro altrove passa da questa presa di coscienza.

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