Un ventennio che si può, anzi si deve, celebrare: quello di Stefano Compagnoni al vertice della Lavagnese. Il club che presidia larive gauche dell’Entella – testimone del legame a volte sofferto sempre indissolubile con l’altra sponda e ‘quell’altra’ società che dal fiume trae il nome – si prepara ad un lungo festeggiamento: nel 2019 ricorre il centenario della società sportiva, coeva di quelle di Sestri Levante e Rapallo, appena cinque anni più giovane del sodalizio chiavarese. Compagnoni ha determinato i destini dei bianconeri per un quinto del loro percorso. Un record che nel Levante ha pochissimi termini di paragone, nell’epoca moderna solo il dottor Ceda con il Carasco, Adriano Pastorino con il RivaSamba e Gianni Fossati con la Sammargheritese vi si sono avvicinati.
I quattro lustri di continuo e incontrastato ‘regno’ sono una prerogativa che l’imprenditore di Lavagna può vantare. Il salto all’indietro nel tempo è operazione laboriosa per un presidente che da sempre ama pochissimo mostrarsi e ancor meno celebrarsi.
“Quasi faccio fatica a rammentarmi come era la mia vita senza la Lavagnese. Le storie che si sono accumulate in tanti campionati sono innumerevoli. Tante sfide intraprese, molte vinte, alcune perse (e sono quelle che rammento meglio…), quanti giocatori, allenatori, dirigenti, avversari che mi hanno accompagnato e reso più interessante il cammino”.
Gli inizi difficili
Compagnoni entra nella Lavagnese dalla porta principale, subito presidente nel 1999, ma scopre che dietro non c’è una casa, ci sono quattro muri che stanno in piedi per la pratica, un tetto che fa acqua da tutte le parti e all’interno non ci sono nemmeno i mobili essenziali. “La cosa che ricordo con maggiore chiarezza è lo stato di abbandono nel quale trovai la società; senza sede, magazzino, con lo stadio Riboli che funzionava da deposito a cielo aperto o quasi. Un particolare mi lasciò a bocca aperta: non avevamo neppure una lavatrice funzionante. Più che dilettanti eravamo dei nullatenenti”.
La società veniva da un decennio difficilissimo, nelle ultime quattro stagioni aveva perso l’Eccellenza, la Promozione e non riusciva a emergere dalla palude della Prima Categoria. “Reagii nell’unico modo che conosco: rimboccandomi le maniche, con un pugno di amici, persone che amavano questi colori, ci mettemmo all’opera. Nello spazio di un’estate trovammo allenatore, collaboratori, giocatori. Anche se qualche giornalista mi indicava scherzosamente come il ‘re del calciomercato’ o quello che ‘comprava tutti, basta indossassero le scarpe con i tacchetti’ operammo con metodo, andando a cercare elementi che ci potessero servire anche nelle stagioni seguenti”.
E che non fosse solo questione di mezzo lo dimostrò l’ascesa fulminea: “Tre campionati, tre promozioni. Ci trovammo in serie D grazie a due primi e un secondo posto. Era il 2002. Sembrava facile, non lo era stato e sapevo che non lo sarebbe stato neppure in futuro”.
Il record
Si diceva che la massima categoria dilettanti fosse un volo troppo ardito per una società e una città di dimensioni ridotte rispetto a quasi tutte le concorrenti. Stefano Compagnoni ce l’ha tenuta per sedici anni consecutivi. E’ il suo principale motivo di orgoglio: “Perché è un primato a livello nazionale. Sino al 2017 ci contendeva il primato l’Olginatese che proprio in questa stagione ha dovuto alzare bandiera bianca. Ora solo la Lavagnese in Italia ha questo grado di anzianità nel massimo campionato dilettanti. Non credo sia cosa da poco. Io agli sprint ho sempre preferito la durata, la tenuta alla distanza”.
In sedici campionati ci sono stati momenti esaltanti, altri meno. “Pagammo qualcosa alla mancanza di esperienza nel primo torneo, poi le cose filarono sempre lisce con un’unica eccezione, nel 2005-2006, quando una serie di sfortunati eventi ci portò alle soglie della retrocessione. Quello che ancora mi fa sorridere è che avevamo una squadra fortissima, probabilmente superiore a molte di quelle venute in seguito. Questo è indicativo come nel calcio due più due spesso non faccia quattro”.
Nel complesso però i successi hanno superato di gran lunga le sconfitte. “Per sette volte siamo arrivati ai play off, per due volte siamo arrivati alla finale”. Altri due primati sono il vanto di Compagnoni: ha cambiato pochissimi allenatori, ha avuto diversi giocatori che nella Lavagnese hanno iniziato e hanno chiuso. “Ho fatto meno esoneri io in 20 anni che alcuni “colleghi” in una stagione. Ho cambiato in corso d’opera due o tre volte e sempre per assoluta necessità. E mi faccio vanto di aver mantenuto rapporti cordiali con molti, civili con tutti gli altri ”. Un preambolo che fa capire come sia impossibile chiedergli chi sono stati i suoi preferiti… “Farei troppi torti.. Mi limito ad Alberto Mariani, il primo che ho scelto che ci ha portato in serie D. Sapete com’è…il primo amore”.
Verso le nozze d’argento
Il discorso vale ancor più per i giocatori. “Alcuni hanno continuato a lavorare con me anche quando hanno appeso le scarpe al chiodo. Anche qui solo menzioni particolari: Matteo Matteazzi al quale chiesi un sacrificio nella stagione in cui rischiavamo la retrocessione, Simone Basso che venne per rilanciare la sua carriera e che dopo aver fatto grandi cose tra i professionisti ha mantenuto quanto mi promise ed è tornato qui a concludere il suo percorso di calciatore”.
Il centenario è alle porte, il presidente va verso le nozze d’argento con il club: potrebbe farsi un super regalo… “La serie C e il salto nel professionismo che Lavagna non ha mai avuto? No, prima viene il Riboli che ha urgente bisogno di un nuovo terreno, prima pensiamo al settore giovanile che va potenziato perché faccia altri passi in avanti. Oggi come oggi sarebbe un salto, sì, ma nel vuoto”.
DANILO SANGUINETI