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Giovedì 23 ottobre 2025 - Numero 397
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Le cronache da Suruc del nostro carissimo amico Marco Ansaldo ci informano dalle pagine di ‘Repubblica’ della tragedia che si sta consumando al Nord della Siria a danno del popolo curdo. 

Si tratta di una violenta offensiva turca cominciata più di due settimane fa, con la quale il Sultano Erdogan vuole creare una zona cuscinetto nel deserto tra Siria e Turchia, lunga 400 Km e larga 30, nella quale rimpatriare forzosamente almeno due milioni di profughi siriani attualmente ‘ospitati’ nei campi del territorio turco. 

Un’area, il Kurdistan siriano, nella quale oggi vivono gran parte dei curdi che hanno in questi anni combattuto contro l’Isis, contribuendo alla vittoria della coalizione internazionale che ha sconfitto Daesh. 

È per questa ragione che gli uomini e le donne curde avvertono ciò che sta succedendo come un tradimento dell’Occidente: “Gli americani ci hanno traditi. Però voi europei credete nei diritti civili. Sappiamo di godere di molte simpatie tra le vostre popolazioni. Come mai non fate nulla contro Erdogan? Noi siamo ancora qui a fare la guardia ai terroristi dell’Isis, e la facciamo anche per voi.”

Queste le dure parole di una giovane portavoce di una guarnigione locale dell’esercito curdo, rilasciata agli inviati dei giornali occidentali. 

Parole dure ma vere, perché sottolineano due cose. 

In primo luogo, gli americani ritirando i loro mille uomini dal Kurdistan siriano hanno di fatto autorizzato Erdogan all’invasione. Criticato da più parti per questa scellerata decisione, il presidente Trump con un tweet surreale ha giustificato il tradimento con il fatto che “i curdi non avevano prestato aiuto agli americani nello sbarco in Normandia (sic)”.

In secondo luogo, l’Europa al di là delle solite prese di posizione verbali non sta facendo nulla, perché anche il ventilato blocco della vendita di armi a quello che è uno dei più attrezzati e importanti eserciti del mondo fa ridere. 

La (scomoda) realtà è che c’è un enorme problema di natura politica. 

Gli Usa sono la prima potenza della Nato in ordine di grandezza delle forze armate, la Turchia è la seconda. Se i due eserciti più numerosi della Nato sono d’accordo sulle operazioni militari contro i curdi, si pone la questione se sia possibile a continuare a tenere in vita la Nato come alleanza atlantica. 

E la questione torna all’Europa. È evidente che per difendere i propri interessi economici, e per reggere il confronto con le altre superpotenze globali come Usa e Cina, gli europei dovranno anche aumentare le proprie capacità di sicurezza e di difesa. 

È possibile immaginare un’Europa potenza? Una potenza sui generis, perché non fondata su uno Stato-nazione ma piuttosto sull’unione di più Stati nazionali, capaci di esercitare un peso globale aggregato per tutelare nel XXI secolo i propri interessi e valori. 

Finora l’Europa non è stata capace di produrre questo risultato. Ha avuto altre priorità. Ma la sfida della competizione globale è ormai ineludibile. E in questa sfida il ruolo e la forza degli Stati nazionali e delle loro identità cooperanti sarà fondamentale. 

Un’Europa potenza, capace di usare la forza per difendere i suoi interessi e valori, non è una passeggiata di salute. 

Nel caso dei Curdi, ad esempio, per fermare l’imperialismo turco e il terrorismo islamico da poco sconfitto, bisognerebbe avere il coraggio di schierare in Kurdistan almeno mille uomini con i loro carri armati e blindati, protetti dalle aviazioni francese, tedesca, italiana. Di fare, insomma, quello che gli americani facevano fino a una settimana fa. I turchi si fermerebbero, perché così come non volevano conflitti a fuoco con i soldati americani, non li vorrebbero neanche con i soldati europei, e i gloriosi combattenti curdi e il loro popolo coraggioso sarebbero salvi. 

Ma questa ipotesi non è destinata ad avverarsi, e la dura realtà sta nel ricatto di Erdogan all’Europa e nella minaccia turca di far invadere il territorio europeo da milioni di profughi siriani. 

Un’Europa potenza è un’Europa che ha il coraggio di affrontare confrontation difficili. Siamo disposti a mandare a morire i nostri ragazzi per il Kurdistan? Quanti soldati americani sono morti in giro per il mondo negli ultimi 70 anni?

Questi sono i drammatici interrogativi con cui ci misureremo nei prossimi anni, sapendo che l’alternativa a un ingaggio internazionale importante, con tutto ciò che ne consegue, sarà l’asservimento ai più grandi e potenti. 

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