di DANILO SANGUINETI
L’invito poco amichevole ‘Ma vai in Miniera!’ a Isolona di Orero si trasforma in augurio, quasi una magia. Uno dei posti che da sempre incute più timore, non solo ai bambini, la caverna, luogo che suscita ataviche paure e scuote le coscienze più incallite, la dimora di briganti, draghi e mostri vari che infestano la mitologia nordica e quella mediterranea, diventa un luogo di delizie e di apprendimento al tempo stesso.
La miniera – vestigia dell’attività umana, indefessa fabbrica estrattiva, palestra che ha formato la coscienza sociale di generazioni di riformatori, teatro di epiche battaglie civili, monumento al lavoro spietato che suscitò lo sdegno e la pietà del Verga di ‘Rosso Malpelo’ e del Cronin de ‘E le stelle stanno a guardare’ – oggi torna a produrre in modi e forme più compassionevoli e, da non crederci, redditizie non solo per chi la propone ma anche per chi ne usufruisce.
L’antica cava di ardesia sita a Isolona di Orero, nel cuore della montagna, nel centro della Val Fontanabuona, risorge grazie all’egregia intuizione di Liliana Nelli, la ‘giovin di spirito’ che ha trasformato l’antro diventato muschioso e cadente nella BatCaverna del gusto e della cultura.
È Cava Ardè ed è una meraviglia. Mangiare sul limitare di uno dei ‘pozzi’ dell’oro nero della valle è privilegio ottenibile con spesa ragionevole e piccolo sforzo di immaginazione. Liliana vi invita a uscire dagli schemi della scontata locanda con pergolato o dell’ordinario museo con guida inamidata. Troverete una sintesi che dà il meglio di entrambe le esperienze, sfruttando la proprietà olistica dell’insieme migliore delle singole parti. Il mix cucina-industria estrattiva è di per se stesso stuzzicante, trasfigura nell’originalità quando si somma a eventi culturali, spettacoli, conferenze.
Una location fuori dagli schemi, un’esperienza meritevole di essere vissuta non fosse altro perché è la punta di un movimento teso a rilanciare la valle e l’economia dell’ardesia, della pietra che si può definire la più ligure tra quelle che concorrono a formare la nostra terra. Come accade spesso – e la cosa non dovrebbe renderci orgogliosi – la professoressa Nelli è un’oriunda che ha captato l’animus loci prima e meglio degli indigeni.
“È stata una fortunata coincidenza – si schermisce – perché sono capitata in un posto, la Fontanabuona, costellato di miniere di ardesie, che ha molti punti in comune con la mia patria. Sono di Carrara, mio papà era scultore, nelle cave di marmo ho bazzicato sin da piccolina. Quando mi sono sposata e sono venuta qui, ho subito avvertito qualcosa di antico e familiare anche nelle miniere che, curiosa, sono andata a visitare”.
Le analogie si fermano qui. “Il lavoro dei cavatori di marmo e dei minatori di ardesia (anche loro si definiscono ‘cavatori’) è affratellato nella durezza, è diversificato nelle modalità. Il marmo si estrae a cielo aperto, l’ardesia va cercata nelle viscere dei monti. A volte a grande profondità”.
Nel 2015 viene a sapere che i fabbricati dell’azienda mineraria che sfruttava la cava a Isolona di Orero saranno venduti. “Andai a vedere, feci un giro lungo, molto lungo, scesi e salii per i cunicoli, e ne rimasi affascinata”.
Forse qualcosa di più… “Beh, debbo confessarlo. Quando entrai nel ‘Baraccun’, il grande edificio dove venivano immagazzinate le lastre di ardesia in attesa di essere tagliate e spedite nei vari centri di vendita, osserva i macchinari, gli utensili – il ligurissimo piccone (lo hanno inventato proprio per cavare l’ardesia) – vidi il racconto tangibile di una storia centenaria, mi sembrò di sentire una voce che diceva ‘Salvaci’. Non esitai oltre”.
La somma da investire era considerevole, arrivò l’aiuto del consorte convinto dalla serietà dell’impegno di Liliana. “Sincerità per sincerità aggiungo che ero partita con l’idea di acquistare gli edifici, ristrutturarli per uso privato, farne un buen retiro dove invitare gli amici, cenare, fare festa, magari anche qualche serata danzante”.
Poi, una volta messo piede da ‘padrona’, studiata nei minimi particolari la storia della cava, l’idea di farne il ‘Ranch Nelli’ non l’ha più neppure sfiorata. “Avvertii il peso di un testimone che mi era stato passato e che dovevo a mia volta passare”.
Nel raccontare la genesi di Cava Ardè tradisce l’amore e il rispetto per questo posto. “La miniera aprì nel 1870, il filone si rivelò ricco e, di scavo in scavo, si ampliò e fu sfruttato sino al 1960. Generazioni di ‘cavatori’ e di ‘spaccatori’ lasciarono su queste pietre fiumi di sudore. Nel 1997 i proprietari la cedettero alla Comunità Montana, che la trasformò in un museo dell’ardesia. Scolaresche, gruppi privati potevano accedere all’area lavorativa, agli edifici esterni, ammirare i macchinari e vedere dal vivo alcuni lavoratori che intervenivano sui blocchi di ardesia. Si mostrava come si taglia e come si spacca, una tecnica originalissima che consiste nel ridurre il blocco dimezzandolo a ogni taglio sino a ottenere la lastra da vendere per costruzioni o mobili. Per una decina di anni il museo rimase aperto ed ebbe un discreto successo, poi la crisi economica e la cancellazione delle comunità montane portarono alla dismissione”.
Entrò in scena Liliana, arredatrice per hobby. “Andata in pensione come insegnante, mi ero ripromessa di non crogiolarmi nell’ozio. Mi cimentai in un paio di interventi in case di amici e altre di mia proprietà, con un discreto successo, detto senza falsa modestia”.
A Isolona di Orero però la sfida era di una difficoltà di parecchi gradi superiore. “Una volta risolto il dilemma ‘lavoro per me o lavoro per il pubblico’ facendo la scelta più rischiosa (ma più stimolante, ndr), è stato come partire dal campo base e cominciare la scalata. Mi aspettavo tanta fatica, ne ho fatta…il doppio!”.
Arredare il ‘Barraccun’ in modo che potesse ospitare cene e pranzi, feste ed eventi. Una sala per pranzare, una per ballare, un piccolo spazio per ospitare rappresentazioni e conferenze. “Poi il Museo dell’Ardesia trasformato, con macchinari e utensili mostrati e spiegati, pezzi di ardesia lavorata, da lavorare, mostrata nel corso del trattamento”.
Nel presentare la sua creatura, si emoziona. “Chiudete gli occhi e sognate di entrare in un ampio spazio moderno ed elegante dove un tempo sorgeva un vecchio laboratorio dell’ardesia, un luogo antico trasformato con stile e design ricercato. Poi immaginate di entrare nell’antica cava di ardesia nei pressi del laboratorio, un luogo nascosto ed affascinante in contrasto con il verde della vallata intorno ad essa. Ora aprite gli occhi e scoprirete che non è solo un bellissimo sogno, è realtà. È Cava Ardè, ovvero Ardesia-Ristorante-Divertimento-Eventi. Capace di ospitare qualsiasi tipo di evento e renderlo indimenticabile”.
Magia si è detto: per ottenerla non è bastato lo schiocco delle dita. Due anni abbondanti di interventi, la conversione del vecchio e abbandonato laboratorio in un innovativo e polivalente locale per feste, con ristorante di classe e un esclusivo spazio ampio e modulare. Moltissimo, eppure non era ancora quanto aveva in mente la dea ex machina Liliana.
“Mi ripetevo che era un’operazione incompleta. Come avere un ristorante dentro il Colosseo e non poter far andare i visitatori tra gli archi e le gallerie dell’anfiteatro. Allora ho deciso di aprire un percorso nella galleria principale della Cava. Un passaggio complicato, per i lavori, i permessi da chiedere, le verifiche da ottenere. Ho chiesto agli ingegneri che creassero un sentiero dove si potesse camminare con il ‘tacco 12’. Perché intendevo farne un teatro al chiuso e una discoteca sala da ballo. Luci speciali, sistema audio-video per ogni evenienza. È nata la Cava-Salotto”.
Ancora più avanti, in questo caso ancora più in profondità. “Abbiamo pulito e approntato un secondo tratto di galleria, con il sentiero lasciato come era ai tempi delle estrazioni: si affronta con le sole luci ‘da galleria’ e con un caschetto da minatore in testa. Un settore riaperto dal lavoro certosino di geologi esperti. L’abbiamo chiamato la ‘Cava-Cava’, rendendola visitabile in totale sicurezza”.
Roba quasi da matti. “Beh sa noi carrarini… Comunque pensiamo di esserci riusciti e di aver superato le nostre stesse aspettative. La nostra grande e ambiziosa sfida era trasformare e rivalorizzare l’intero luogo, preservandone le caratteristiche storiche originali e, al tempo stesso, rendendo gli ambienti più confortevoli e moderni. I lavori sono durati circa due anni e il 13 ottobre 2018, il vecchio ‘Baraccun’ di Isolona di Orero è diventato ufficialmente Cava Ardè”.
Subito preparato un calendario con appuntamenti in grande stile, attività ricreative, ricevimenti, mostre e riunioni aziendali. Il ‘collaudo’ il Capodanno 2017. Nell’inverno 2018-19 i primi eventi. Poi, la settimana scorsa, sono arrivati quelli dell’Inge, un’associazione di appassionati di siti industriali dismessi, studiosi di archeologia industriale. “Ci hanno fatto i complimenti, dicendo che non esiste in Italia un’altra cava fruibile dal pubblico come Ardé. Ogni parte di Cava Ardè è completa e pronta per il pubblico”.
A fermare la sua proprietaria non è riuscito neppure il Covid. “Una battuta di arresto. Non ci ha smontati. Nel 2020, in estate ma non solo, altri eventi ci hanno aiutato a farci conoscere. Incontri pubblici e privati, cerimonie e matrimoni (abbiamo l’autorizzazione comunale per celebrarli in loco), cene aziendali, serate musicali e altre occasioni speciali. Ho iniziato la collaborazione con uno chef bravissimo. La cucina penso che sia all’altezza della bellezza del posto. E abbiamo sempre abbinato ai pranzi la visita guidata alla cava”.
Ristoro e lezioni, apprendi storia e delizi il palato. Le due cose non possono essere scisse. “Più di uno mi ha chiesto se non si può venire semplicemente a visitare la miniera. Ho replicato che o si prende l’intero pacchetto, oppure si lascia perdere. Il lucro non è certo la molla che mi ha spinto in questa impresa, tuttavia debbo rendere conto delle spese sostenute e credo che tenere in ordine i conti sia anche un modo perché questa iniziativa non sia effimera. Mi piacerebbe lasciare qualcosa alla comunità. Vorrei che Cava Ardè diventasse solida e stabile come la pietra che la costituisce, non sono piuma che si affida al vento”.
Una dichiarazione impegnativa. L’orgoglio di propagare quanto prodotto dal proprio ingegno. Una poesia scritta sulla roccia, se vogliamo una rima petrosa, ‘Nell’antro c’è luce’. Qui siamo nella Fontana-Buona, poco più in là diventa la Fiumana-Bella probabilmente visitata dal Ghibellin Fuggiasco. Che cosa è la cava se non una ‘In-Natural burella’? Ad Isolona non c’è neppure bisogno di uscire ‘a riveder le stelle’.