di DANILO SANGUINETI
È nella natura umana inseguire la simmetria. I canoni della bellezza spesso privilegiano colui o ciò che ha uguali o replica in maniera armonica le varie parti della propria forma. La legge vale anche per le menti: il cervello opera in modo binario grazie ai due emisferi, eguali in forma e differenti nell’uso. Il lavoro in coppia dei pistoni ha permesso di aumentare la potenza dei motori, l’aggettivazione duale dà a poesia e prosa equilibrio stilistico.
Piacerebbe ai fanatici di Fibonacci e Mandelbrot spiegare in questo modo il folgorante successo del Duo Restaurant, aperto da un solo anno nel centro del centro di Chiavari – in via Senatore Dallorso, alle spalle della sede del Banco di Chiavari, nei locali che ospitavano la Tipografia Colombo – gestito in maniera impeccabilmente paritetica da Lucia De Prai e Marco Primiceri.
L’oggettività impone di guardare ad altro. All’inventiva legata all’intraprendenza e potenziata dalla dedizione assoluta al proprio lavoro, cosparsa di fede nella cucina, di gusto e intelligente al tempo stesso. Una spettacolare partenza che neppure la iattura di una inattesa e devastante (per i corpi e pure per le anime) pandemia ha vanificato.
Da subito la coppia di chef si è meritata critiche da sogno, l’ingresso d’emblée nella Guida Michelin, diverse segnalazioni su riviste e sui siti specializzati. I ‘tecnici’ si profondono in lodi, i clienti discutono meno perché sono educati: hanno la bocca piena dalle delizie che sgorgano di continuo dai fornelli del restaurant.
Il potere dello stomaco, Gastro-nomia appunto, sostenuto da un’idea dettagliata. Oltre la portata c’è di più. Più che un ristorante una visione che avvolge chi la sceglie, con una coppia di anfitrioni che ha scelto Chiavari, il locale, l’ambientazione dello stesso con metodo, sapendo dove sarebbe andata a parare.
La parola a Lucia, la narratrice del Duo: “Io e Marco individuammo il posto nel febbraio di due anni fa. Avevamo saputo che la Tipografia Colombo, storica stamperia cittadina con annesso negozio di carta, stava per chiudere. Una visita bastò, fu amore a prima vista”.
Due saloni per il pubblico, la parte dedicata alla cucina ricostruita ex novo. “Volevamo un’atmosfera calda, accogliente, moderna ma non fredda”. Niente è stato lasciato al caso. Studiato nel minimo dettaglio. “Mobilia e utensili pensati da noi due e realizzati da artigiani della zona. Perché vogliamo essere inseriti nel tessuto sociale, fare rete con le altre piccole realtà: per questo i tavoli sono realizzati a mano come tutti gli altri oggetti di arredamento, i menù sono stati foderati dalla signora che ha la legatoria poco lontano da noi, i bicchieri sono di qui, le decorazioni alle pareti pure”.
Per il vasellame la cura è stata raddoppiata: non contenti che la produzione fosse autoctona, concept e design sono farina del loro sacco: “Abbiamo disegnato i piatti, la realizzazione è stata affidata a Cham Ceramica, ossia due ragazzi di Camogli che ci hanno insegnato come riutilizzare i gusci dei molluschi per creare lo smalto esterno. Per la materia hanno impastato e cotto le terre del Parco di Portofino e le argille di Rapallo, mentre una signora di Sarzana ha realizzato un’altra serie usando tessuti siciliani di vecchie trapunte, imprimendovi piante aromatiche e fiori secchi”.
Con i vasai, mobilieri, ceramisti, pittori, legatori, il discorso sarà ripreso più avanti. “Perché no? Abbiamo in mente di organizzare serate a tema, dove le arti cosiddette minori si confronteranno, e tra esse anche la nostra scienza culinaria”.
Per andare così lontano con l’immaginazione si deve venire da lontano. I percorsi di Marco e Lucia sono corsi in parallelo per una ventina di anni. Marco Primiceri è di Torino ma si trasferisce in Liguria all’età di 17 anni. La passione per la cucina inizia fin da subito. All’università capisce che la sua vocazione è quella di scaldare manicaretti, non scrivanie. Inizia in un hotel di lusso a Courmayeur, dopo tre stagioni è aiuto dello chef Roberto Cazzato all’Hotel Nettuno di Sestri Levante.
“È stato il mio mentore, maestro di vita e di arte, mi ha spinto ad affinare le mie qualità, dopo due anni ero al ‘Devero’ di Enrico Bartolini, poi in Spagna al ‘Quique Dacosta’, dove ho lavorato sotto la guida di Ricard Tobella”.
Lì incontra Lucia, romana, che a sua volta ha mollato l’università e si è dedicata all’antica e raffinata disciplina della pasticceria. Per lei esperienze con Roy Caceres, Heinz Beck, Paco Torreblanca. Al ‘Quique Dacosta’ i due spiriti si riconoscono affini e assieme tornano in Italia a Genova, da ‘The Cook’.
Due anni fa la decisione di mettersi in proprio. Marco rivela: “Concordammo che la città sarebbe stata Chiavari, che io conosco dalla mia infanzia e che Lucia ha subito amato”. Il progetto ‘Duo Restaurant’ è nelle loro intenzioni qualcosa che lasci il segno. Vogliono proporre qualcosa di nuovo senza sconcertare o spiazzare la clientela. Marco conosce bene la mentalità e i gusti dei liguri. “Pensammo di cominciare con menù se non tradizionali, diciamo sicuri e affidabili, per poi gradualmente introdurre novità. Fondamentalmente è una cucina italiana con tocchi spagnoli, retaggio della nostra comune esperienza. A pieno regime vorremmo proporre menù a ‘geometria variabile’, dove si possa trovare sia il piatto sperimentale che quello classico, il locale, l’etnico e pure qualche sorpresa data da creazioni all’impronta. Sempre basandoci su sapori e ingredienti reperibili se non in loco, quanto meno con poco sforzo”.
È un aspetto fondamentale della loro visione. Spiega Lucia: “Abbiamo un piccolo orto. Il papà di Marco ci aiuta a produrre frutta e verdura per il ristorante, c’è anche il pollaio con le galline per le uova”. Marco aggiunge: “L’abbiamo chiamata una cucina non a ‘Km zero’, ma a ‘Km Duo’, perché vogliamo conoscere ogni fornitore, instaurare con lui un rapporto sociale prima che commerciale”.
Chef Primiceri non è un sovrano assoluto tra le pentole. O meglio, lui comanda la cambusa, ma a disegnare la rotta sono in due. “Creiamo e realizziamo in percentuale fifty/fifty”. Sono come Lennon & McCartney: magari la scintilla capita a uno dei due, ma il piatto finito porta la firma di entrambi, perché il processo creativo è il frutto di un confronto costante.
Un’unione solida che ha permesso di uscire indenni dalle complicazioni di un anno e mezzo allucinante: “Abbiamo aperto a luglio e a ottobre sono arrivate le nuove limitazioni. Si doveva resistere, abbiamo tenuto duro anche per i ragazzi che avevamo assunto. Ragazzi entusiasti che ci seguono, che offrono un servizio non invadente, ma premuroso, che fa sentire gli avventori rilassati. Non a casa propria, ma da amici dove si può trascorrere un po’ di tempo mangiando e conversando con gusto”.
Alessandro Borghese a questo punto alzerebbe entrambi i pollici. Il solo fatto di essere con immutato entusiasmo fuori da questo tunnel lunghissimo è notevole. “Ci tenevamo occupati con le ordinazioni per asporto, poi in primavera con la timida riapertura abbiamo ottenuto in affitto la terrazza sopra il ristorante. Sino a maggio le nostre cene sono state lì, adesso che si può mangiare anche all’interno, abbiamo spalancato i battenti. Si torna nella sede consona. Per ora solo cene, a fine estate potremmo passare a cinque giorni di apertura alla settimana, pranzo e cena”.
Niente tavoli all’aperto per Marco e Lucia. “Senza apparire presuntuosi, desideriamo offrire un’esperienza particolare. Mangiare all’esterno tra i rumori e le ‘distrazioni’ più varie non si concilia con la nostra proposta”.
Hanno appena trent’anni, eppure sembra che abbiano capito quanto basta per due vite, a testa. Marco Primiceri e Lucia De Prai e le loro ‘Back Pages’. “Forse eravamo veramente più vecchi ieri e oggi siamo più giovani. La nascita di questo ristorante, sognato, pensato, voluto è stata una gioia immensa. Chi non ha questa passione nelle vene stenterà a capirlo: apparecchiare il primo tavolo è stato come vedere muovere i primi passi a un bambino”.
Creativi e ardimentosi. Hanno avuto coraggio al limite della temerarietà; si mettono in gioco riflettendo e discutendo. Chiamatela dialettica. Il maestro di quest’arte spiega nel Simposio (guarda la coincidenza) che gli uomini in origine avevano quattro braccia, quattro gambe e due teste, poi diventarono superbi e Zeus per punizione li separò con un fulmine. Il rimpianto dell’essere perfetto che eravamo ci spinge a cercare la metà mancante, l’unica altra parte della mela che combacia con la nostra. Per riconoscerla occorre il cuore, nel caso di Marco e Lucia anche il gusto. Pure il palato ha ragioni che la ragione non conosce.