di BOBO CRAXI *
I cittadini spagnoli hanno votato anticipatamente il rinnovo del loro parlamento e hanno, se possibile, inviato un messaggio chiaro a tutti gli europei che andranno a votare alla fine di questo mese; certamente con il voto Sanchez ha voluto verificare l’esistenza di una maggioranza parlamentare più robusta che ne giustificasse la sua permanenza alla guida del governo e in parte gli elettori gliel’hanno concessa aumentando i suoi seggi alla Camera e consegnandogli il Senato, sottraendolo alla maggioranza che era dei popolari. Certamente sottointendeva a questo voto anticipato la necessità di conquistare la fiducia degli spagnoli affinché alla Crisi territoriale apertasi più di dieci anni fa in Catalogna, con l’insorgente richiesta separatista, venisse data una risposta politica, di dialogo e di disinfiammazione della situazione.
Però il voto ai partiti in Spagna dimostra che nella penisola iberica, comunità autonome incluse, c’è un fervente afflato europeista, e il ruolo che si è conquistato Sanchez in Europa sul piano politico è stato tutto a danno dell’Italia da quando ha introdotto un atteggiamento apertamente euro-scettico, abbandonando una consolidata propensione a considerare l’Europa e le sue istituzioni come un punto di riferimento essenziale per affrontare il futuro economico, che va affrontato su scala globale attraverso un approccio continentale.
Per questa ragione è necessario tornare a investire sull’Europa come spazio di convivenza e solidarietà cercando di rimontare l’inevitabile crisi di fiducia che sta attraversando l’avventura europea a causa delle forze sempre più incontrollate dei mercati globali. La risposta moderna che sembra avere dato la Spagna è quella di non considerare l’opzione sovranista (seppur dalla sua, avrebbe il grande vantaggio di essere già una comunità globale, essendo il castigliano la terza lingua più parlata al mondo per esempio..) ma di avere scelto la cornice dell’Unione Europea investendo in una prospettiva di lungo termine anche al netto dell’impotenza a cui sembrano essere relegati gli Stati Sovrani dinnanzi ai vincoli sempre più stringenti cui vengono obbligati dalle istituzioni.
Il problema è che il processo di costruzione europea durerà a lungo e non ci sono risultati immediati. Anzi, nella sua costruzione sono state più le battute di arresto, i ritardi, le divaricazioni di carattere economico, le incomprensioni e gli egoismi nazionali che hanno prevalso nell’affrontare le emergenze continentali di ordine economico e politico, una su tutte quella immigratoria, la gestione dei flussi, le politiche comuni sulla risoluzione dei conflitti che hanno attraversato il Nord Africa in particolare.
Ma se la risposta a questi dilemmi fosse stata nuovamente la sprangatura delle porte, l’allontanamento dello straniero perché ritenuto il colpevole presunto della perdita del potere di acquisto delle nostre popolazioni e la causa della crescente insicurezza, avremmo certamente alimentato il rilancio della nostra identità nazionale, ma non avremmo avuto una risposta chiara e convincente circa la necessità che ancora abbiamo di sostituire la mischia incontrollata del mercato con un sistema di protezione sociale più inclusivo e adatto ai nostri tempi.
Per questa ragione, i modelli istituzionali e di sviluppo a cui dobbiamo ispirarci richiedono il rinnovo di una fiducia che non sarà facile da dare ma alla quale anche gli italiani, profondamente euro-critici, dovranno dare un contributo. Che esso passi attraverso la struttura ammaccata del nostro sistema politico, con partiti nuovi, semi-nuovi, improvvisati, non importa. È la prospettiva di fondo che ci interessa e che ci riguarda. L’Europa ha bisogno dell’Italia e anche l’Italia ha bisogno dell’Europa. Non dimentichiamocelo.
(* Partito Socialista Italiano, già sottosegretario al Ministero degli Affari Esteri)