Alfana in onore della cavalla dal grande temperamento raccontata da Ariosto nell’Orlando furioso. Galoppa dal 1974 e porta il nome di Chiavari in giro per il mondo: “Il nostro mercato è al 90 per cento in Asia”, sottolinea Dondi Inzerillo, fondatrice di questo brand insieme al marito Goran Rimac. Si sono conosciuti ai tempi dell’Università: “Lui studente di Design a Milano, io di Filosofia a Genova. Ero insoddisfatta del mio percorso e così, sfruttando la mia abilità manuale, abbiamo deciso di aprire un laboratorio-negozio di borse. Il settore, d’altronde, offriva poco: borse per signore âgé oppure modelli per fricchettone. C’era spazio per qualcosa di diverso”. L’anno è il 1974, il luogo prescelto via dei Cogorno. Cominciano a lavorare a mano e solo dopo un paio di mesi arriva la prima macchina da cucire, “comprata usata dal calzaturificio Gregorace – ricorda Inzerillo -. Sono passati 45 anni ma la conservo e funziona ancora”.
La ‘Caruggina’ è il primo grande successo, poi nel 1978 ecco la ‘Pop Corn’: un vero e proprio boom, a Chiavari ce l’hanno tutte, ragazze e non. Fascia di prezzo media, materiali di qualità e soprattutto una caratteristica unica: la borsa, vuota, si piega come una fisarmonica fino ad occupare uno spazio limitatissimo. Genialata che conquista Milano, “grazie ad una signora conosciuta in spiaggia, a Cavi di Lavagna” e poi vola fino agli Stati Uniti, nella boutique del MoMa di New York. Gli americani provano a cambiare il logo, “chiedendoci di sostituire Chiavari con Italy, ma ci siamo opposti”. Questione di identità, orgoglio, appartenenza. Con la Pop Corn si fa fotografare pure Peter Gabriel e Alfana, che intanto si trasferisce in via delle Vecchie Mura, comincia a introdursi nel mercato orientale. “Lavorare con l’estero è complicato, tra dazi e costo del trasporto, le spese sono altissime. Una Pop Corn in cuoio che qui si paga 78 euro, a Honk Kong costa l’equivalente di 170 euro”.
In laboratorio si producono borse ma anche accessori, abbigliamento e per un certo periodo, finché il mercato non è diventato saturo di negozi dedicati, anche vestiti per bambini. Uno spazio è ancora riservato a bagni schiuma e profumi: l’idea di Inzerillo, ‘la monofragranza’, viene subito sposata da un ‘naso profumiero’ e le boccette di Alfana fanno il loro ingresso nelle case dei chiavaresi.
L’anno spartiacque nella storia di questa azienda è il 2014, quello del quarantesimo compleanno, festeggiato con una mostra a tema mensile: le clienti, rimaste fedeli nel tempo, mettono a disposizione le loro borse e compaiono persino le prime, quelle cucite a mano, ingombranti tanto da non essere più di moda. “Per me, però, rappresentavano un pezzo di cuore – ammette Inzerillo – E così me le sono riprese, barattandole con modelli nuovi”. Ricordarsi sempre da dove si viene e non coprire le cicatrici. Come quella lasciata dall’alluvione di Chiavari, nel novembre di quell’anno: “Ha danneggiato il punto vendita di via Martiri della Liberazione e, purtroppo, distrutto i laboratori nei fondi di villa Castagnola: è stata una brutta botta. Avevamo appena investito sull’abbigliamento, acquistando, l’anno prima, macchinari nuovi che, essendo elettronici, sono stati rovinati irrimediabilmente; non abbiamo più potuto ricomprarli”.
In molti avrebbero gettato la spugna: “Ma come facevamo? Più di cento persone ci hanno aiutato a liberare i locali dal fango, a ripulirli. Volontari, ringraziati ad uno ad uno con due maxi striscioni appesi in caruggio, che ci hanno chiesto di non fermarci: siamo ripartiti, per loro”. Accantonato l’abbigliamento, Alfana trasferisce i laboratori in acque più tranquille, al porto di Lavagna. In via Martiri, invece, il negozio è tornato un gioiellino. Slow shop lo definiscono Inzerillo e Rimac. Ci sono i tavolini, le sedie, insomma un punto d’incontro a cui manca solo qualcosa da sgranocchiare: “I clienti per noi sono amici, si entra anche solo per scambiare due chiacchiere, chiedere un consiglio”.
Da Alfana il valore dei rapporti umani è inestimabile.
DANIELE RONCAGLIOLO